Alfredino 40 anni dopo: gli dobbiamo ancora molto

Nella imponente quantità di ricordi, rievocazioni, ricostruzioni di quei tragici giorni di Vermicino, compresa la realizzazione di minisceneggiati, si coglie il senso di un...

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Nella imponente quantità di ricordi, rievocazioni, ricostruzioni di quei tragici giorni di Vermicino, compresa la realizzazione di minisceneggiati, si coglie il senso di un vuoto da colmare, di una colpa collettiva mai davvero espiata. La tragica fine di Alfredo Rampi, da tutti adottato in una interminabile sequenza di angoscia come Alfredino, ripropone intatti, dopo quarant’anni, i nodi, gli errori, le manchevolezze di un’azione segnata dal dolore e dalla speranza. Un paese paralizzato da un’ipnosi della paura, messo di fronte, all’improvviso, a una terribile altalena. 

 

 

C’erano su quel pozzo maledetto gli occhi di trentasei milioni di spettatori, chiamati per la prima volta a una diretta tv senza fine. Una macchina dei soccorsi, si è poi capito, impreparata: generosa fino al rischio dell’estremo sacrificio e tuttavia prigioniera dei pochi mezzi, dell’inesperienza e dell’improvvisazione. Oggi chi c’era allora si aggrappa a una “manutenzione della memoria” per aggiornare un evento che da fatto di cronaca è divenuto patrimonio condiviso: ma quella promessa, di costruire la cultura della prevenzione non si è ancora compiuta. Ce lo ricorda Franca Rampi, la mamma che ha trasformato il suo lutto in impegno civile. Ad Alfredino dobbiamo ancora qualcosa. Forse ancora tanto.

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Il Messaggero