Alberone, quanta vita sotto quel leccio

Alberone, quanta vita sotto quel leccio
«Ora che siamo vicini al Santo Natale... ma lo vogliamo addobbare? Sai che figurone che facciamo!» Patrizia Del Prete A...

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«Ora che siamo vicini al Santo Natale... ma lo vogliamo addobbare? Sai che figurone che facciamo!»


Patrizia Del Prete


A belli de Albero» e «Buongiorno seguaci del nuovo Alberone». E’ tutto un fermento da un po’ sull’Appia, a Roma sud, come se nella città abituata all’incuria tanta efficienza avesse quasi spiazzato. In quattro e quattr’otto è arrivato un leccio nuovo nuovo, alberini e alberelli ancora non ci credono, così la sera c’è chi va a sedersi là sotto, qualcuno si mette pure a spazzare per terra, i giovani fanno selfie e foto di gruppo, i vecchi si danno appuntamento come non facevano più. Allora non era solo un albero abbandonato a se stesso, l’Alberone, ma il simbolo stanco di un vecchio quartiere e doveva crollare per accorgersene. Forse è stato la goccia, quella famosa che fa traboccare i vasi colmi: tutt’intorno resta sporco e degradato, ma se crolla anche chi dà il nome a una zona, è davvero finita. «Forza, pensiamo a chiedere di rimetterlo subito».



Da qui la mobilitazione, venti giorni fa, quando la pioggia l’ha steso, perché «ci sono foglie che si lasciano cadere e foglie che si organizzano», scrive Claudia sul gruppo Facebook che ha seguito l’evento in diretta, e perché come ricorda Felice Cipriani «non è mai stato solo un albero». Raduno degli antifascisti, ma prima dei pastori, la storica quercia era lì da secoli, sostituita nell’86 grazie al Messaggero, con un leccio che ha resistito fino al 7 novembre. Ora non c’è un Alberone ma un alberello, è la metà di quelli che stanno poco lontano ma è coccolato come un piccolo buddha. Dicono che siano già nate nuove coppie di alberini là sotto. Il vecchio quartiere e il senso d’appartenenza battono il cittadino del mondo.

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Il Messaggero