Il vescovado da mesi trasformato in un parcheggio abusivo. Sale la protesta

Le auto parcheggiate sotto gli archi del vescovado
RIETI - Questa casa non è un albergo!”. Quante volte abbiamo sentito e perfino citato questa espressione riferita a figli più o meno fannulloni, nella moderna...

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RIETI - Questa casa non è un albergo!”. Quante volte abbiamo sentito e perfino citato questa espressione riferita a figli più o meno fannulloni, nella moderna terminologia definiti come “bamboccioni” o addirittura “neet” – dall’inglese “not engaged in education, employment or training”, cioè: inattivi nel campo dell’istruzione, lavoro o formazione – che hanno ormai superato abbondantemente perfino la soglia dei trent’anni e che non si decidono ad abbandonare il rassicurante guscio familiare garantito dai genitori, i quali a loro volta esasperati esplodono con la suddetta espressione esortandoli ad abbandonare la casa, essendo talvolta addirittura costretti a ricorrere perfino all’intervento di un giudice?

L'anomalia. Ebbene, a quanto pare, da un po’ di tempo a Rieti c’è chi, parafrasando l’espressione di cui sopra, va esclamando “questo Vescovado non è un parcheggio”, riferendosi ad alcune automobili che da tempo regolarmente stazionano accanto ai presepi frequentati da numerosi visitatori. La domanda è: di chi sono quelle auto? Sicuramente, partendo da sua eminenza il vescovo e andando in giù, non si tratta certo dei fannulloni, bamboccioni o neet cui si accennava prima.

Tradizione secolare. Senza dubbio si tratta di persone che hanno una “missione” ben precisa da svolgere all’interno del Palazzo Vescovile adiacente alla Cattedrale e all’arco di Bonifacio VIII, più volte eletto a residenza papale, la cui costruzione iniziò nel 1283 e che, assai probabilmente, nelle intenzioni di chi lo ha progettato e poi eretto, non doveva essere destinato a “rimessa” di mezzi trasporto, dagli antichi carri alle moderne automobili che, tra l’altro, se ben ricordiamo, già vennero temporaneamente parcheggiate nel secolo precedente ma che, allo stesso modo, furono poi vietate dai Vescovi dell’epoca, in quanto ritenute non consone alla natura dell’edificio, che dovrebbe essere rispettata, come dire, “secula seculorum”.

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Il Messaggero