Rieti, firme false per incassare i soldi: padre e figlio condannati

Un'agenzia di scommesse
RIETI - Aveva accumulato debiti giocando e perdendo in un'agenzia di scommesse di Roma, ma quando i titolari avevano cercato di incassare due cambiali per oltre 20 mila euro...

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RIETI - Aveva accumulato debiti giocando e perdendo in un'agenzia di scommesse di Roma, ma quando i titolari avevano cercato di incassare due cambiali per oltre 20 mila euro in una banca di Collevecchio (Rieti), il padre del giocatore si era rivolto ai carabinieri. Le indagini ordinate dalla procura avevano accertato, infatti, che le firme di uno studente universitario della Sabina, apposte in calce ai titoli e anche a una scrittura privata con la quale era stato concordato il pagamento dei debiti, erano state falsificate.




Per questo, il tribunale di Rieti (giudice monocratico Ilaria Auricchio) ha condannato i titolari di un'agenzia romana della Stanley Bet, padre e figlio, di 69 e 27 anni, a dieci mesi di reclusione per i reati di falso materiale in scrittura privata e tentata truffa ai danni di uno studente universitario sabino. Alla vittima, assistita come parte civile dall'avvocato Pietro Carotti, il giudice ha ordinato di versare una provvisionale immediatamente esecutiva di 10 mila euro, vincolando la sospensione condizionale della pena per il padre all'effettivo pagamento, mentre non ha concesso i benefici di legge al figlio. Ha poi rimandato in altra sede la quantificazione dei danni.



La vicenda risale al 2011, anno in cui lo studente aveva perso 4700 euro giocando presso l'agenzia, debito saldato dal padre dietro la promessa di non giocare più. Ma non ce l'aveva fatta e aveva ripreso a scommettere accumulando ben 26 mila euro di debiti, che questa volta, però, il padre si era rifiutato di pagare, in quanto le due cambiali e una scrittura privata esibite dai creditori, che sostenevano fossero state rilasciate dal figlio a riconoscimento del debito, gli erano apparse apocrife nella firma.





L'indagine dei carabinieri aveva consentito di ricostruire il rapporto tra lo studente e i gestori della società e, soprattutto, aveva fatto emergere il sospetto del padre sulla reale entità del debito. Il sospetto dell'uomo, infatti, era che l'importo fosse stato gonfiato per lucrare molti più soldi ma non era riuscito a definire bonariamente la vicenda. La contraffazione era stata poi confermata dal grafologo incaricato dalla procura di eseguire la consulenza tecnica, ascoltato in tribunale durante l'istruttoria dibattimentale. Contro la condanna, la difesa degli imputati, per i quali il pubblico ministero onorario Morandi aveva sollecitato l'assoluzione, ha preannunciato il ricorso in appello. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero