Fuga dall'Ucraina, Contigliano in festa per il ritorno di Antonio Antonelli e Natasha

La giornata per Antonio e Natasha Antonelli (foto Meloccaro)
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RIETI - «In questi giorni non li abbiamo disturbati, per farli riprendere un po’». Gli abitanti di Montisola di Contigliano, nel giorno della festa del patrono, accolgono Antonio e Natasha Antonelli con pudore, quasi intimoriti dal fardello di sofferenza che portano sulle spalle. I due coniugi, bloccati per più di un mese a Nova Kachovka, nella regione di Kherson, sono riusciti a tornare dall’Ucraina venerdì scorso, dopo un lunghissimo viaggio in pullman. «Sarà lunga, è difficile dimenticare quello che abbiamo vissuto», dice Natasha piangendo, stretta in un piumino blu. Sul sagrato, il primo abbraccio è quello con il sindaco Paolo Lancia, che ha seguito fin dall’inizio la vicenda e ha fatto da tramite con la prefettura. Presente una delegazione dell’amministrazione comunale, con in capo l’assessore Alessia Iachetti.

La vicinanza. Pian piano, si avvicinano tutti: «Siamo stati tanto in pensiero». Amaranto, ex collega di Tonino, dipendente della Provincia di Rieti, arriva per salutare: «Gli ho scritto tutti i giorni, manifestandogli la mia vicinanza. Lui rispondeva sempre, fino al 29 marzo, quando la chat dava una spunta sola. Lì ho pensato al peggio». Sul sagrato, un po’ in sordina, arriva anche il prefetto, Gennaro Capo, fondamentale ponte con il Ministero degli Esteri: «Sono venuto per conoscere i signori Antonelli, per dare il benvenuto a loro e alle famiglie ucraine accolte in questa zona. Sono qui semplicemente per questo». Il prefetto saluta in russo, tra gli applausi della gente. Il sindaco Lancia si commuove, Natasha piange ancora mentre stringe tra le braccia i fiori gialli e blu, come la bandiera del suo Paese martoriato. Sul biglietto, una sola scritta: «Bentornati». Il coro parrocchiale canta «siamo qui dopo la paura», arriva il maresciallo dei carabinieri, il prete, la comunità intera. Arrivano pure i botti all’uscita della chiesa, ma nessuno aveva pensato a cosa potessero risvegliare. Antonio salta, si copre le orecchie, non vuole uscire. «Era per affetto e tradizione, non abbiamo pensato che potesse risvegliare il trauma. Tonì scusa, non spariamo più». Ma ora è tempo di regali, di sorrisi, degli abbracci liberatori con le crostate fatte in casa, il prosciutto tagliato a mano, il brindisi col vino casereccio. Come si faceva “prima”.

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Il Messaggero