RIETI - L’avevano operato nel gennaio del 2013 per rimuovergli una massa tumorale individuata durante un esame endoscopico nella parte ascendente del colon, ma il chirurgo,...
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Un caso di chiara responsabilità extracontrattuale attribuita all’azienda sanitaria, dove l’imperizia, la negligenza e l’imprudenza dei sanitari sono state messe nero su bianco da una consulenza tecnica di ufficio ordinata dal giudice. Una ricostruzione dettagliata di quanto accaduto tra il 23 gennaio 2013 e il 26 giugno 2013, tra ricoveri e operazioni, dove l’elencazione degli errori commessi è davvero impressionante. E’ sufficiente richiamare sinteticamente un passaggio dell’esame nel quale il perito medico afferma che «appare evidente come il primo intervento non sia stato non tanto risolutivo, ma piuttosto senza esito alcuno in quanto non ha coinvolto in alcun modo la formazione neoplastica». La prova arriva dall’esame istologico eseguito in laboratorio sul pezzo anatomico asportato che non presentava alcuna traccia del tumore in conseguenza del quale era stato effettuato l’intervento chirurgico. La consulenza fissa poi due errori alla base della morte del paziente: il primo riguarda l’erronea localizzazione della lesione da parte del medico che effettuò l’esame endoscopico, circostanza definita «oggettivamente grave alla luce delle conseguenze provocate». Il secondo errore riguarda poi l’esecuzione vera e propria dell’operazione, commesso dal chirurgo che non seppe verificare lo stato in cui si trovava la parte residua del colon, quella non asportata e che risultò invece colpita dal tumore.
Sarebbe stata sufficiente la palpazione per scoprirlo ed evitare di commettere uno sbaglio così grave. Il giudice Morabito ha ritenuto ampiamente provato sul piano della condotta colposa il nesso di causalità tra i gravi e ripetuti inadempimenti dei sanitari («interventi chirurgici malamente effettuati») e la morte del paziente. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero