Le mille vite di Romualdo Pitotti: cantante, attore, ristoratore e compagno di poker di Willie Sojourner

Romulado Pitorri con Willie Sojourner nei giorni del suo rientro a Rieti
RIETI - Quando dici Romualdo Pitotti non sai dove iniziare. Per i più giovani: è lui che intona “Invito a Terminillo”, scritta da Pier Luigi...

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RIETI - Quando dici Romualdo Pitotti non sai dove iniziare. Per i più giovani: è lui che intona “Invito a Terminillo”, scritta da Pier Luigi Mariani, musicata da Giovanni Marconicchio, più nota come “Jèmo a Termenillu”, divenuta l’equivalente reatina di “Romagna mia”. Ma è solo un lato di un personaggio multiforme. 

La voce. «Negli anni ‘60 – racconta Romualdo – nacque il gruppo teatrale G.a.d. Pier Luigi Mariani col quale, dopo l’inizio in italiano, recitammo in dialetto girando mezza Italia. Io ero anche appassionato di lirica. Un giorno al “Lirico” di Roma, durante un’audizione ad altri cantanti, fui ascoltato con poca voglia dal maestro che scoprì la mia estensione naturale da baritono e volle darmi lezione quattro volte a settimana a Roma per diventare tenore drammatico. Purtroppo, poco dopo morì e non continuai. Grazie a Marconicchio – continua Romualdo – registrai le canzoni reatine apprezzate ovunque. La madre di Paolo Rosi (il peso leggero reatino che combatté per titolo mondiale ndr) gliene portò una copia a New York. Quando tornava a Rieti, Paolo mi diceva di averne una cassetta che sentiva in auto guidando a Manhattan». 

Il “Primavera” a Porta d'Arce. Tutto iniziò nei primi anni ‘60 al ristorante “Primavera” a Porta D’Arce, dove oggi c’è una ferramenta: «La mia famiglia prima aveva una locanda in via Angelo Maria Ricci. Io ero il maître di sala – racconta Pitotti – ero abile coi clienti a capire i gusti e aiutarli a scegliere nel menù. La nostra specialità era il pesce: grazie a una parentela a Pedaso, nelle Marche, legata al presidente della Amg Sebastiani Renato Milardi, ci arrivava fresco da San Benedetto del Tronto. Avevamo una bella clientela. Poi, dopo la realizzazione della variante, tanto traffico di passaggio per la Salaria deviò all’esterno, l’attività diminuì e nel 1987 passai la mano». 

Il rapporto. Fu il pesce a far sbocciare un’amicizia ultradecennale: «Il locale era già frequentato da giocatori di basket come Lauriski, Gennari, Cerioni – racconta Romualdo – Poi, nel 1976, arrivò in prova Willie Sojourner. La sera dopo la storica amichevole a Siena in cui Willie, pur con la mano sinistra fasciata (era mancino ndr.) annichilì tutti ottenendo l’ingaggio, noi aspettavamo la squadra e avevamo preparato una ricchissima cena speciale. Iniziammo servendo pannocchie, che Sojourner non conosceva: mangiò solo quelle malgrado tante altre portate. E così sì affezionò. Poi il coach Elio Pentassuglia mi chiese di aiutarlo a gestire l’esuberante campione per tenerlo un po’ “a casa”: iniziarono così le interminabili partite notturne a poker dove il “quarto” era l’inseparabile Alfiero Vicari, detto lo “Sceriffo”, che Willie volle sempre in trasferta. Non si giocava pesante, era per stare insieme: si faceva spesso l’alba e per lo Sceriffo, di mestiere pittore edile, era un problema ma non mancò mai. Willie ci insegnò la “telesina” (antesignana del “Texas hold ‘em” ndr), io invece gli suggerii di salutare il pubblico mandando il famoso bacio a due mani. Aveva una simpatia naturale, capì subito. Quando la Sebastiani vinse la coppa Korac nel 1980 ero in ospedale per un intervento: Willie arrivò all’una di notte, lui aveva via libera ovunque, per dirmi che aveva vinto. Vicino a me c’era un vecchietto che sgranò gli occhi vedendo questo gigante. Ma Willie lo rassicurò». 

Romualdo, ospite d’onore alla presentazione del campionato di serie B della Kienergia Npc, andrebbe avanti per ore: «Era un vero uomo, grande amico. Quando tornò a Rieti nel 2005 era indeciso se firmare il biennale offerto da Gaetano Papalia. Gli chiesi perché: e lui rispose che non aveva mai firmato contratti, aveva sempre giocato sulla parola. Uomo unico. Una grave perdita».

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Il Messaggero