Rieti, l'attrice Rocío Muñoz Morales compagna di Raoul Bova completa il ciclo vaccinale all’Hub San Giorgio

Rocío Muñoz Morales
RIETI - Sorridente e disinvolta all’ingresso, un velo di tensione mista a timore al momento dell’iniezione vaccinale, la seconda dose del Pfizer. Rocío...

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RIETI - Sorridente e disinvolta all’ingresso, un velo di tensione mista a timore al momento dell’iniezione vaccinale, la seconda dose del Pfizer. Rocío Muñoz Morales, moglie dell’attore Raoul Bova, di casa a Rieti e provincia, ieri pomeriggio - poco dopo le 17 - ha varcato la soglia dell’auditorium di largo San Giorgio, per l’occasione trasformato - in sinergia tra Fondazione Varrone e Asl - in un vero e proprio hub vaccinale, con la presenza di personale sanitario Asl, punti di inoculazione dosi, sala di attesa e sala osservazione, per completare il suo ciclo contro il covid. A tenergli la mano, durante la somministrazione della dose, la reatina Emma Giordani, dipendente Asl. 


«Devo dire - ha detto l’attrice all’uscita dall’hub di San Giorgio - di aver trovato qui a Rieti una squadra splendida. Fa la differenza, per chi viene a vaccinarsi, trovare persone gentili e con il sorriso che le ricevono. Tutto diventa più facile. Si trasmette indubbiamente - ha aggiunto l’attrice - un messaggio di affetto e serenità, di grande tranquillità. Un bel team, qui a Rieti». E a chi le ha chiesto sul perché della scelta di vaccinarsi, la Morales ha candidamente ammesso di «sentirsi responsabile. Talvolta - ha spiegato - noi del mondo dello spettacolo non ci rendiamo conto della possibile influenza che possiamo avere sulle persone. Farlo sapere e trasmettere il messaggio, in questo caso, è un atto di responsabilità».

L'appello della D'Innocenzo


Soddisfatta anche la dg della Asl, Marinella D’Innocenzo, che ha colto l’occasione per un nuovo appello. «Abbiano vaccinato circa l’80 per cento della popolazione - ha detto la dg della Asl - ma in questo momento siamo preoccupati perché continuiamo ad avere tra i pochi positivi quotidiani tanti bambini, tra questi molti di età inferiore ai 12 anni, e questo significa che vengono nella maggioranza contagiati dagli adulti. Abbiamo inoltre, tra i positivi compresi nella fascia di età tra i 40 e i 60 anni tutte persone che non sono vaccinate. C’è quindi un 20 per cento di persone adulte che non vogliono vaccinarsi o non possono, per vari motivi. Noi ci rivolgiamo a chi non vuole vaccinarsi, invitandoli a rendersi conto che il comportamento assunto può mettere a repentaglio i bambini che, se si positivizzano con le varianti, corrono il rischio di sviluppare sintomatologie anche gravi. E’ quindi opportuno, per proteggere i bambini e tutti gli altri ragazzi, che tutti gli adulti si vaccinino». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero