RIETI - Quella mattina Rieti si risvegliò scoprendo di aver conquistato un posto di primo piano nella cronaca internazionale, con i titoli dei giornali italiani ed europei,...
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Quell’operazione rappresentò l’epilogo di una retata più ampia, che portò la polizia italiana ad arrestare in diverse città gli altri componenti della banda, formata da “cassettari” romani e alcuni spagnoli. Tra loro, la nipote di 39 anni dei coniugi reatini, compagna dell’ideatore del colpo, un esponente di spicco della malavita capitolina, che aveva lasciato nell’abitazione degli zii la valigetta, con la scusa di dover custodire documenti importanti in un luogo sicuro. Il pensionato e la moglie non si insospettirono, si fidavano della donna e solo quando i poliziotti forzarono la serratura a combinazione della valigetta si resero conto della realtà.
L'inchiesta
Una buona fede che, però, non evitò alla coppia il coinvolgimento nell’inchiesta dalla quale, peraltro, usci con il minimo danno ma, soprattutto, con il riconoscimento della totale estraneità rispetto alle responsabilità della nipote, condannata a tre anni di reclusione nel 1986, insieme agli altri componenti della banda, ai quali furono inflitte pene più pesanti per associazione a delinquere. Buona parte del bottino non fu mai rintracciato e la valigetta di Rieti, insieme a 25 chili di preziosi recuperati dalla polizia spagnola interrati non lontano dalla sede del Banco Hispano Americano, resta il ritrovamento più importante legato al furto del secolo.
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Il Messaggero