Rieti, Pastorale della Salute: a Cittaducale per parlare di malattie croniche

Rieti, Pastorale della Salute: a Cittaducale per parlare di malattie croniche
CITTADUCALE - Dopo i quarant'anni una persona su due viene colpita da malattie croniche. Malattie che aumentano d’intensità con il passare del tempo. Il dato, di un recente...

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CITTADUCALE - Dopo i quarant'anni una persona su due viene colpita da malattie croniche. Malattie che aumentano d’intensità con il passare del tempo. Il dato, di un recente studio del Ministero della Sanità inglese, viene citato dal diacono Nazzareno Iacopini, direttore dell’ufficio per la pastorale della salute della Diocesi e promotore dell’incontro formativo “Come affrontare le malattie croniche” in programma oggi a Cittaducale.




Nell'appuntamento, moderato da Luca Sabetta, hanno presentato il loro punto di vista padre Mariano Pappalardo, parroco di Cittaducale, Vincenzo Latini, direttore della residenza sanitaria assistita di Santa Rufina e Rita Le Donne primario di pneumologia al San Camillo de Lellis. Presente anche la testimonianza di Anna Rita Spoletini, dell’associazione Parkinson di Rieti.



“Raramente – ha detto il vescovo Domenico Pompili - gli effetti di una malattia cronica si limitano al malato. Quando una famiglia entra nel tunnel di una malattia che si prolunga nel tempo è come se fosse alle prese con un viaggio in un paese straniero. Molte cose all'estero sono simili a come sono in patria. Ma improvvisamente si modificano per forza di cose abitudini, stili di vita, orari della giornata. E la lunghezza esaspera questa rivoluzione del quotidiano che giunge fino a domandarsi in certi momenti: Fino a quando saprò resistere? Quanto ancora durerà? La sofferenza, quando è condivisa, è un potente detonatore di solidarietà e di ritorno all'essenziale”.



Le conclusioni dell’incontro sono state affidate a don Carmine Arice, direttore nazionale della pastorale della salute della Conferenza Episcopale Italiana. “Lo spirito giusto – ha detto - è pensare che noi incontriamo la persona nella sua totalità, non incontriamo le malattie ma le persone malate, ed è necessario spostare questo baricentro per capire l’importanza del curare tutto l’uomo”.



“Il senso di questo incontro – ha concluso Iacopini – è dato dal tentativo che si deve fare per superare la malattia, cercando il più possibile di abbattere le barriere che essa crea ogni giorno di più intorno al malato. Non dobbiamo permettere che sia vissuta come una condanna ad essere malati e isolati dal mondo. Avremmo perso veramente tutti, malati e non”. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero