Rieti, una familiare: «Ossa gettate nei sacchi: una storia vergognosa»

I sacchi neri
RIETI - A finire dentro i sacchi neri della spazzatura, al cimitero di Rieti, non sono state soltanto ossa umane. Perché, seppur ormai ridotti a scheletro, i resti...

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RIETI - A finire dentro i sacchi neri della spazzatura, al cimitero di Rieti, non sono state soltanto ossa umane. Perché, seppur ormai ridotti a scheletro, i resti ritrovati durante l’ispezione congiunta effettuata lunedì scorso tra Asl e polizia municipale rappresentano la storia vissuta da ognuna di quelle persone che, esumate dalle sepolture a terra, sono state gettate all’interno di comuni buste della spazzatura senza alcuna sensibilità, come fossero oggetti privi di valore, identificate da un foglio bianco indicante le loro generalità. Un epilogo triste, che ha generato rabbia e sconforto nelle famiglie coinvolte, ora decise ad esternare quanto patito.

La vicenda. A raccontare a Il Messaggero la vicenda che ha coinvolto una delle salme esumate e riposte nei sacchi è il nipote di una donna defunta oltre vent’anni fa, nel 2001, sepolta in terra ed esumata nel 2011 (quindi dopo dieci anni, così come previsto dalla normativa) per la quale - una volta constatato il mancato raggiungimento della completa scheletrizzazione della salma - fu nuovamente disposta l’inumazione, prevedendo a quel punto una seconda attesa di altri dieci anni. La nuova verifica dello stato di mineralizzazione del corpo, complice forse il caos generato dal Covid, è slittata di due anni, a 2023 già iniziato: «Poche settimane fa, a febbraio, un cugino di mio padre si era recato al cimitero per rendere omaggio a mia nonna - racconta adesso l’uomo che preferisce restare anonimo - e la tomba era ancora integra: pertanto presumiamo che fino a quel momento l’esumazione non fosse ancora avvenuta. Poi, dopo qualche giorno è stato lo stesso suo cugino ad avvisare mio padre che erano iniziate le operazioni di esumazione e che le ossa erano state riposte all’interno di sacchi». 
La coincidenza - del tutto casuale - è stata che il figlio della defunta si è recato al cimitero proprio lunedì 6 marzo, senza sapere che quello stesso giorno era in corso anche l’ispezione disposta dalla Asl: «Mio padre è andato al cimitero – prosegue l’uomo – e una volta giunto all’ingresso si è rivolto a coloro che in quel momento erano di turno. Ha chiesto conferma del fatto che le ossa fossero state depositate dentro ad un sacco, chiedendo di poterle vedere: gli è stato risposto che non era possibile, perché non c’era un buon odore e non era certo una visione piacevole. Gli hanno quindi detto che doveva recarsi in Comune, pagare un bollettino di oltre 300 euro, andare all’agenzia funebre per acquistare una scatola di zinco all’interno della quale riporre le ossa e poi tornare al cimitero per indicare le sue volontà sul trattamento delle spoglie». Insomma, nulla di strano, se non fosse stato per le modalità da brividi con le quali sono stati conservati i resti dei defunti, ciascuno dei quali si trovava all’interno di un sacco, tutti accatastati in una delle stanze del cimitero, umida e maleodorante: «Nessuno ci ha avvisato dell’esumazione di mia nonna - conclude il nipote. -  Se non fosse stato per il nostro parente non avremmo saputo nulla, almeno fino al momento in cui lo abbiamo scoperto da soli. Senza contare poi il modo in cui sono state conservate le ossa. Una vicenda vergognosa».

Le indagini. Nel frattempo, proseguono le indagini della Asl di Rieti volte ad accertare quanto accaduto. Di certo, c’è soltanto che le ossa dei poveri defunti sono state finalmente riposte all’interno delle cassette di zinco fatte pervenire in fretta e furia dal Comune di Rieti martedì pomeriggio, un giorno dopo l’ispezione della Asl.

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Il Messaggero