Rieti, l'addetto dell'ospedale aggredito: «La rabbia era tanta ma ho capito il suo dramma. L’ho perdonato, non merita una denuncia»

L'ospedale de Lellis
RIETI - Un pugno al braccio, poi tre al volto all’ausiliario che, nel pieno rispetto del regolamento ospedaliero, ha dovuto negare l’accesso al reparto al marito...

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RIETI - Un pugno al braccio, poi tre al volto all’ausiliario che, nel pieno rispetto del regolamento ospedaliero, ha dovuto negare l’accesso al reparto al marito di una donna ricoverata, in ospedale. Un brutto episodio di ingiustificata violenza quello avvenuto all’ospedale de Lellis domenica mattina. Ma l'operatore, che è ricorso alle cure del Pronto soccorso, quando il figlio dell'aggressore gli ha parlato, in lacrime, alla fine lo ha perdonato.

Ecco le sue parole:

Trentatré anni, invalido civile a un braccio, da cinque anni regola il flusso di coloro che si recano in visita ai pazienti al de Lellis. Lavoro che dall’esplosione della pandemia è spesso diventato battaglia quotidiana con coloro che, in spregio alle regole, vogliono entrare a tutti i costi. 
Ma mai aveva rischiato per la propria incolumità come domenica scorsa.
«Due anni fa, alla sala prelievi, il parente di un paziente voleva entrare a tutti i costi. Mi ha spintonato, poi però è fuggito e non si più visto».
Cosa è accaduto questa volta?
«L’uomo voleva entrare insieme al figlio a trovare la moglie. Ma non si può. Può entrare solo una persona alla volta».
Ed è stato colpito.
«Sì. Prima a un braccio, poi sono stato spintonato al petto e infine ho ricevuto tre pugni al volto. Sono dovuto ricorrere alla cure del pronto soccorso. Chi mi ha colpito, una volta giunti i carabinieri, ha negato tutto. Ma c’erano le telecamere che avevano filmato. Non poteva sottrarsi alle proprie responsabilità».
E nonostante ciò, è riuscito a perdonarlo e non ha sporto denuncia nei suoi confronti.
«La rabbia era tanta. Poi è giunto il figlio dell’uomo che mi aveva colpito e che era stato a visitare la mamma. Si è messo a piangere per quel che era accaduto. Mi ha spiegato che la mamma stava molto male e allora ho iniziato a riflettere su quanto accaduto».
Cosa l’ha convinta a recedere dalle sue intenzioni?
«Il nostro lavoro, per quanto possa sembrare banale, è molto delicato. Bisogna capire anche la psicologia delle persone che vengono a trovare i propri cari malati. Nel volto del figlio ho visto la disperazione. Mi sono messo nei suoi panni e ho capito che forse era meglio recedere dalla mie intenzioni. Meglio, molto meglio perdonare che alimentare uno stato di tensione, di conflittualità che non fa bene a nessuno. Non mi avrebbe fatto stare meglio. Ho fatto la cosa giusta, spero che chi mi ha colpito abbia capito la gravità del suo gesto e l’errore commesso».
Lei è giovane, duramente provato dalla vita, ma dimostra una maturità e lucidità invidiabile.


«La vita va avanti, sempre. E sono convinto che comportarsi bene alla fine ripaghi sempre. Anche se avevo tanta rabbia per quel che era accaduto...».

 

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Il Messaggero