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RIETI - Volendo raccontare una favola, potremmo dire che quella dell’Antico Forno dei fratelli Sorgi, in via San Rufo, si perde nella notte dei tempi. Quella tramandata con successo dai fratelli Pietro e Patrizia parte da metà ‘800, grazie ai bisnonni, e trova un primo dato certo dal 1924, superando abbondantemente la fatidica soglia del secolo.
Le radici. Come spesso capita in queste circostanze, l’inizio fu casuale, poiché il forno era il luogo in cui le donne vi portavano a cuocere il pane, finché i bisnonni Pietro Sorgi e Ottavia Pitoni iniziarono a produrlo e a venderlo. Al solito la seconda guerra mondiale rappresenta uno snodo da cui individuare un prima e un dopo. Durante le ostilità il forno fu requisito, inizialmente dai tedeschi e poi dagli inglesi per fornire il pane alle truppe, come raccontava ai nipoti nonna Ottavia che, al di là del differente ruolo nella storia, distingueva il diverso atteggiamento di occupanti e liberatori: «i tedeschi erano persone educate, pulite e precise», a differenza degli inglesi, definiti senza mezzi termini «arroganti e zozzi».
La nuova fase. Terminate le ostilità, negli anni ‘50, morto nonno Pietro, la gestione passò al figlio Felice, che già ci lavorava dopo aver completato gli studi al V° ginnasio dai Gesuiti. Nel 1963 Felice sposò Italia - per un errore dell’ufficiale all’anagrafe registrata come “Itala” - licenziatasi dalla Snia Viscosa per aiutare il consorte a risanare le finanze messe in difficoltà dalla generosità di Pietro. Impegno e sacrificio vennero premiati, come quando gli sciatori che andavano a Terminillo - ai tempi ancora “la montagna di Roma” - vi facevano tappa per una sostanziosa merenda con la pizza, mentre la mensa della Snia Viscosa veniva rifornita da oltre 100 chili di sfilatini al giorno.
Il "non" fornaio. Nel frattempo erano nati Pietro e Patrizia i quali, terminati gli studi, scelsero rispettivamente Isef e insegnamento del tennis l’uno, nonché buon cestista come da tradizione reatina, Accademia di Moda e Costume l’altra. Poi, quando Marino andò in pensione dopo «50 anni insieme», Felice, che mai lo aveva coinvolto nel forno, nel 1989 consegnò a Pietro le chiavi del furgone «per fare le consegne». Fu un «trauma» ricorda scherzando l’interessato «passato dall’essere chiamato ‘maestro’ agli insulti in caso di ritardo». Anche Patrizia l’ascia arte e moda, dopo aver “sfiorato” la scuola di Fendi, finché dal 2008, dopo la scomparsa di Felice, che seguì il forno anche sulla sedia a rotelle, l’attività passa ai due fratelli, nonostante Pietro dichiari candidamente: «Io il pane non lo so fare!», mentre la sorella conferma: «non sa tenere la pala in mano». Ma ormai c’è, come si dice oggi, un “know-how” consolidato che due fidati collaboratori, Daniele e Umberto, portano avanti garantendo la secolare qualità del forno, rinnovato e ampliato, dove apprezzare michette, pizza bianca, margherita, pane azimo morbido e pani di tutti i tipi da quello artigianale, alla pagnotta, all’integrale.
Non mancano i dolci, creati soprattutto da Patrizia, tra cui i “must”: crostata con marmellata di visciole e pizza di Pasqua”, su ricetta rigorosamente di mamma Italia.
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Il Messaggero