Rieti, donna dà fuoco e uccide il marito: il dolore e lo sconcerto del quartiere

Il palazzo di Campomoro
RIETI - I muri anneriti, i vetri delle finestre schizzati fino in strada, le serrande accartocciate dal fuoco accatastate nel cortiletto interno in corrispondenza del balcone...

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RIETI - I muri anneriti, i vetri delle finestre schizzati fino in strada, le serrande accartocciate dal fuoco accatastate nel cortiletto interno in corrispondenza del balcone della cucina dove a salvarsi dalle fiamme è stato solo uno stendino con i vestiti ad asciugare, le bottiglie d’acqua poggiate a terra e donate ai poliziotti per aiutarli a riprendersi dopo essere venuti a contatto con i fumi dell’incendio. La mattina dopo, a Campomoro, restano solo i segni della notte di terrore e follia di via Alviero Dionigi, mentre tutt’intorno regna un silenzio surreale. Nel palazzo evacuato, Valerio Amadio viveva insieme a Braulina Cozzula e ai due figli al terzo piano, ma in quell’ala di un edificio da otto appartamenti, soltanto al primo risiedeva un’altra famiglia, il resto sono case sfitte. In piena mattina, in strada non c’è quasi nessuno, in una parte di quartiere popolata perlopiù da anziani. Passano due agenti in borghese, qualche curioso in macchina si ferma e chiede dove siano le finestre dell’appartamento, mentre i pochi anziani a piedi confermano tutti la stessa versione: «Abbiamo sentito un boato. Pensavamo al terremoto, ma ci siamo affacciati e abbiamo visto le fiamme».


LE TESTIMONIANZE

Sono in molti, però, a non ricordare distintamente Braulina e Valerio, nipote del vescovo marchigiano Francesco Amadio, che resse la Diocesi reatina dal 14 maggio 1980 al 30 settembre 1989: «Questo palazzo ha cambiato molti inquilini, e loro non erano qui da tanti anni. Ma quando li incontravamo per strada salutavano sempre». Al bar Grillo Verde, però, ricordano bene i due coniugi: «Venivano molto spesso accompagnati dai due bambini, erano nostri clienti. Non abbiamo mai notato atteggiamenti che potessero far immaginare un epilogo del genere. Erano due persone gentili e riservate. Arrivavano, consumavano e andavano via». Una riservatezza familiare, quella di Valerio e sua moglie, che aveva avvolto anche la vita dei due figli, di 7 e 15 anni: «Una volta vidi uno dei due figli andare in bicicletta qui, nel cortile sotto casa - racconta un’anziana, nella palazzina a fianco. - Gli chiesi se fosse nuovo e lui mi rispose di sì. Ma i genitori non li ho mai visti». Qualcuno, invece, ricorda bene di averli sentiti spesso discutere animatamente, in passato. E forse proprio l’ennesima discussione è stata la miccia che ha innescato la notte di follia a Campomoro. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero