Rieti, mobbing alla Municipale: il giudice dice no al maxi risarcimento chiesto da una vigilessa

Tribunale
RIETI - La madre di tutte le (presunte) persecuzioni e vessazioni sul lavoro, denunciate da una vigilessa del comando di Rieti, era stata individuata in un progetto definito...

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RIETI - La madre di tutte le (presunte) persecuzioni e vessazioni sul lavoro, denunciate da una vigilessa del comando di Rieti, era stata individuata in un progetto definito «di ampio respiro», che avrebbe dovuto contribuire a ridurre gli incidenti stradali e per il quale era stata predisposta nel 2005 una bozza destinata alla Regione Lazio.


Ma, proprio in coincidenza di questo piano («Ero invidiata per questo» ha detto), si sarebbero verificati gli episodi persecutori attribuiti a colleghi e superiori culminati con un ricovero in ospedale a causa di un attacco d'ansia. Episodi riguardanti dequalificazioni, l'assegnazione a servizi appiedati nonostante limitazioni motorie dovute a un incidente stradale, offese verbali ricevute da vigili e ufficiali nonchè l'estromissione dalle riunioni e dai corsi di aggiornamento, per finire agli atteggiamenti di ostilità dei quali si riteneva vittima sul lavoro.

Di qui, l'iniziativa della vigilessa di trascinare il Comune in tribunale reclamando un milione di euro di danni ma la giudice del lavoro, Valentina Cacace, dopo tre anni di istruttoria, ha respinto la domanda di risarcimento condannando la ricorrente anche a pagare 13 mila euro di spese processuali in favore dell'amministrazione comunale, assistita dall'avvocato Tiziano Principi. Secondo il tribunale, i fatti esposti dalla vigilessa «sono risultati del tutto sganciati tra di loro e privi di intrinseca rilevanza e portata lesiva», aggiungendo che non hanno trovato riscontro testimoniale «le condotte vessatorie, riconducibili al mancato riconoscimento del meriti e della responsabilità di un progetto del quale, la ricorrente, non ha saputo esattamente definire il contenuto, rimanendo indefinito nei suoi contorni».


Sulla lamentata assegnazione a mansioni mortificanti in condizioni disagiate, la giudice Cacace ha richiamato lo ius variandi, vale a dire il potere gestionale e organizzativo del datore di lavoro nell'assegnare il dipendente alle mansioni che ritenga più opportune purchè rientranti tra quelle per le quali è stato assunto. E, sul punto dei servizi appiedati, il tribunale ha rilevato che agli atti la vigilessa non ha prodotto alcun certificato medico attestante l'impossibilità a svolgerli, il che fa ritenere, di conseguenza, che fosse idonea. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero