Rieti, la visita a casa del medico in pensione e la rapidità in ospedale salvano la vita di un paziente

L'ospedale de Lellis
RIETI - Una occlusione intestinale che rischiava di causare la morte del paziente, risolta nel giro di poche ore all’ospedale de Lellis non è soltanto la storia di un...

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RIETI - Una occlusione intestinale che rischiava di causare la morte del paziente, risolta nel giro di poche ore all’ospedale de Lellis non è soltanto la storia di un sistema sanitario che, quando è messo in condizione di potere operare, funziona ancora bene. Ma è anche la riflessione su una professione - quella del medico di base - oggi tenuta sempre più lontana dal paziente, a causa dei lacci della burocrazia che ne minano la fiducia in se stessa.

La storia. A raccontarla è il 72enne medico reatino Felice Patacchiola, residente a Cantalice, che - seppur ormai in pensione da quattro anni - in una delle scorse serate, non ha esitato a prestare nuovamente la sua opera, dopo la richiesta d’aiuto da un abitante del paese, per dei dolori sospetti all’addome. E se la professione di medico è prima di tutto una missione, Patacchiola non ci ha pensato su due volte, recandosi a casa del 76enne, per attuare il protocollo di ispezione, mappatura, percussione e auscultazione, che lo ha infine portato a decidere per il ricovero dell’uomo, sospettando un’occlusione o una perforazione.
Ad accompagnare all’ospedale il paziente è stato lo stesso Patacchiola, che racconta: «Una volta giunto al de Lellis, ho parcheggiato l’auto in una posizione d’emergenza, ho spiegato al personale del pronto soccorso i sospetti sintomi e, nella decina di minuti successivi che ho impiegato per tornare indietro e spostare l’auto, il paziente era nel frattempo già stato sottoposto a nuova visita dal personale dell’ospedale e preparato per affrontare la sala operatoria».

La testimonianza. Operato in piena notte per quella che si è rivelata poi essere la diagnosi esatta - effettuata in prima battuta da Patacchiola - di una occlusione intestinale, il paziente è potuto così tornare a casa già dopo pochi giorni. «Si sentono e leggono vicende del pronto soccorso di Rieti nel caos, ma è giusto anche raccontare gli esempi di buona sanità», spiega Patacchiola. Ma l’ennesima esperienza vissuta da un veterano della medicina di base è anche la spia di come, soprattutto dalla pandemia, la professione del medico di famiglia sia stata progressivamente posizionata in maniera sempre più distante dai pazienti: «Quando mi sono recato a casa del paziente, ho eseguito il protocollo che ogni medico di base deve saper mettere in atto per una prima diagnosi - prosegue Patacchiola. - Oggi, invece, i medici di base hanno due grandi ostacoli davanti: il primo è la burocrazia, che limita la loro libertà operativa, mentre il secondo è che ormai si sta selezionando una classe medica che non ha più bisogno di visitare il malato. Un tempo, la visita al paziente era il fulcro dell’azione, mentre oggi i miei colleghi affidano all’esecuzione di esami il raggiungimento della diagnosi, poiché temono anche i rischi connessi ai risvolti legali della professione».

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Il Messaggero