Rieti, donna morì dopo diagnosi errata: Asl condannata a risarcire i familiari

Tribunale
RIETI - Morì nel 2010 per le complicazioni insorte dopo una diagnosi errata che la costrinse ad affrontare tre interventi chirurgici e un calvario ospedaliero durato due...

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RIETI - Morì nel 2010 per le complicazioni insorte dopo una diagnosi errata che la costrinse ad affrontare tre interventi chirurgici e un calvario ospedaliero durato due anni. Per quella vicenda, risalente al maggio del 2008, il tribunale di Rieti ha condannato l'Asl reatina a risarcire i danni al marito della signora, un artigiano di Magliano Sabina, il figlio e sei fratelli della vittima, con una sentenza firmata dal giudice civile Tommaso Martucci, di recente trasferitosi al tribunale di Roma. A indennizzo avvenuto, la notizia della condanna è stata resa nota da Giesse Risarcimento Danni di Roma, una società leader nel campo delle cause di malasanità, attiva con i suoi avvocati in quaranta sedi in Italia.


LE TAPPE

Nel suo comunicato, la Giesse ha ripercorso le tappe della dolorosa vicenda iniziata all'ospedale di Magliano Sabina con il ricovero di Antonia Benegiamo, 56 anni, affetta da un'ernia inguinale strozzata, in seguito alla quale venne sottoposta a un primo intervento in laparoscopia. Ma nel corso dell'operazione emersero altri problemi: la paziente presentava un'occlusione intestinale associata a un'appendicite. Nuova operazione il giorno successivo, sempre in laparoscopia, le condizioni migliorarono ma solo per quindici giorni, quando i medici decisero di sottoporla a un terzo intervento, rifiutato però dalla Benegiamo che firmò le dimissioni e si recò al pronto soccorso del Policlinico Umberto I dove la nuova diagnosi accertò un'ischemia intestinale massiva. I mesi successivi, caratterizzati da continui ricoveri e vari problemi, rappresentarono per la donna un calvario vissuto tra ricoveri ospedalieri e cure, esauritosi il 26 febbraio 2010 quando morì. La Giesse Risarcimenti ha richiamato i risultati raggiunti dalla consulenza medico legale eseguita dai periti nominati dalla società e dalla procura dopo la denuncia dei familiari. Per gli esperti ci fu un nesso causale tra l'errata diagnosi iniziale e il successivo decesso poiché l'operazione alla quale la signora venne sottoposta avrebbe dovuto essere a «cielo aperto», e non del tipo conservativo, proprio per consentire ai medici di avere una visione completa del campo operatorio. Una sottovalutazione che finì per determinare le successive complicazioni. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero