Rieti, incendio mortale di vicolo Barilotto Per l'accusato fiamme divampate dopo la sua uscita dalla casa

Vicolo Barilotto nell'agosto 2017
RIETI - Incendio mortale di vicolo Barilotto dell'agosto 2017, al processo, parla l'accusato. Riparte da remoto, a esclusione di giudici e pm, il processo in Corte...

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RIETI - Incendio mortale di vicolo Barilotto dell'agosto 2017, al processo, parla l'accusato. Riparte da remoto, a esclusione di giudici e pm, il processo in Corte d’Assise sulla morte del 68enne reatino Enrico Andrea Piva, morto nel rogo della propria abitazione di vicolo Barilotto data alle fiamme - secondo l’accusa - dal 29enne Alessandro Di Giambattista nell’agosto del 2017. Per lui l’accusa di omicidio volontario aggravato da futili motivi: un diverbio, all’origine del gesto.


La tesi

Un’udienza importante poiché ha visto anche l’escussione dello stesso imputato, il quale ha riferito che, quando egli uscì dall’abitazione di Piva, non erano ancora divampate le fiamme. Inoltre di non essere venuto a conoscenza della morte dell’uomo, ma di averlo appreso solo più tardi dalla Squadra mobile di Rieti, quando lo aveva fermato e arrestato con l’accusa di omicidio volontario. Di Giambattista (difeso dall’avvocatessa Marta Giansanti del foro di Roma) ha affermato anche che era molto legato e affezionato a Piva, di avergli regalato del gelato per il suo compleanno e, se avesse visto le fiamme dal suo appartamento, si sarebbe certamente lanciato in casa per salvarlo. Di Giambattista ha riferito che Piva aveva contatti quotidiani con il proprio figlio, cui era molto legato e che egli aveva anche conosciuto personalmente. In evidenza elementi di contraddittorietà e dichiarazioni contrastanti emerse dalle varie versioni fornite da altri testi che, di fatto, non hanno restituito chiarezza su quali persone siano uscite per ultime dalla casa del reatino, chiudendosi la porta alle spalle prima del rogo e quali fossero fuori al momento dell’incendio. Un rogo che non lasciò scampo all’uomo, impossibilitato a uscire e imprigionato al terzo piano, secondo quanto emerso dalle ricostruzioni su base testimoniale, poiché non era in possesso delle chiavi di casa, né delle stampelle per lui indispensabili per poter deambulare e rinvenute lontano dal corpo, al piano terra. Circostanze che gli impedirono di mettersi in salvo prima che le fiamme giungessero ad alti livelli avvolgendo mobilio, pareti e interni, sprigionando fumo. Focus anche sulla presunta zona di innesco (verosimilmente vicino alla scala in prossimità della parete sinistra): proprio da lì sarebbero partite le fiamme - come emerso pure da precedenti dichiarazioni di una vicina - che avrebbero inizialmente interessato la parte sinistra dell’edificio. Il decesso del 68enne reatino sopraggiunse - secondo gli esami autoptici - per insufficienza cardio-respiratoria insorta per effetto combinato di inalazione di fumi e ustioni da fiamma. In giudizio cinque le persone offese costituite parti civili: tre prossimi congiunti della vittima (assistiti e difesi dagli avvocati Cristian Baiocchi, Emanuele Chiarinelli e Gioia Tiberti), nonché i coniugi proprietari dell’immobile distrutto dalle fiamme (avvocatessa Rita Pezzotti). Il processo si aggiorna al prossimo mese di giugno, con sentenza prevista dopo l’estate. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero