Fara Sabina, offese un candidato sindaco sui social: condannata a risarcire

Vincenzo Mazzeo
RIETI - Nel 2020 apostrofò il consigliere comunale Vincenzo Mazzeo, allora candidato sindaco per FaraMerita, come “buffone” associando la sua azione politica...

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RIETI - Nel 2020 apostrofò il consigliere comunale Vincenzo Mazzeo, allora candidato sindaco per FaraMerita, come “buffone” associando la sua azione politica alla mafia: ora una 68enne di Fara Sabina è stata condannata per diffamazione a mezzo stampa dal tribunale di Rieti, aggravata dalla diffusione del messaggio tramite facebook, dove è possibile raggiungere un numero indeterminato di persone.


Non le sono state riconosciute le attenuanti generiche poiché, come si legge nella sentenza del 27 marzo, «l’imputata ha agito del tutto al di fuori di ogni manifestazione di cui non ci è neppure la parvenza, ponendo in essere un attacco del tutto ingiustificato alla persona, con toni grevi e insinuatori che nulla c’entrano con uno scambio di opinioni».

La sentenza. La 68enne dovrà pagare una multa di 2mila euro, le spese processuali e quelle di difesa sostenute dal consigliere cui spetta anche il risarcimento in sede civile. Il messaggio diffamatorio fu pubblicato sul gruppo facebook “Succede a Fara”, sotto un articolo de Il Messaggero che dava notizia di un incontro, in campagna elettorale, tra Mazzeo e l’allora ministro allo Sport Vincenzo Spadafora, a cui il candidato presentò il progetto di un centro sportivo da realizzare a Fara. Prima della sentenza, più volte, Mazzeo si è detto disposto a ritirare la querela se solo gli fossero arrivate delle scuse pubbliche, mai giunte. «Sul piano personale, mi è costato molto querelare una persona, non l’avevo mai fatto - commenta Mazzeo, difeso dall’avvocata Federica De Santis. - Quando fai politica metti in conto che puoi ricevere offese e ho sempre soprasseduto. Però c’è un limite e qui è stato oltrepassato: l’accusa è stata troppo pesante. Volevo dare un segnale a tutti rispetto a come ci si dovrebbe comportare nella vita, perché i social sono uno strumento importante, ma con un cattivo utilizzo possono diventare nocivi. Pur sapendo che non avevo un account facebook, vigliaccamente mi hanno attaccato lì, colpendo non solo me, ma anche la mia famiglia e la mia comunità politica di cui ho voluto difendere l’onorabilità».


«È una sentenza esemplare - aggiunge la legale De Santis - un monito per tutti coloro che pensano che facebook sia lo sfogatoio per ogni proprio pensiero. Tanto più che l’utilizzo della parola “mafia”, come ha evidenziato il giudice, in questo contesto è particolarmente lesiva della dignità personale a livello sociale, dove le persone ancora oggi ravvisano una collusione tra politica e mafia». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero