RIETI - Il coronavirus ha sconvolto la vita di molte persone, da un punto di vista psicologico, lavorativo e sociale. Per Francesca Cecca, 24 anni di Monteleone Sabino infermiera...
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Francesca, la sua è stata una scelta coraggiosa, non poteva rinunciare al lavoro ma come è stato cambiare completamente vita durante il Covid?
«Lavoravo a Roma al San Camillo Forlanini a tempo determinato, ho fatto il concorso in Toscana che è terminato a metà febbraio e quando è scoppiata l’emergenza hanno fatto uscire la graduatoria e mi hanno chiamato i primi giorni di marzo, mi sono trasferita a Firenze il 20 di marzo. In dieci giorni ho dovuto cercare una casa, nessuno giustamente si fidava sia perché quando contattavo i proprietari dicevo che sono infermiera, sia perché le persone da casa non volevano uscire, alla fine attraverso conoscenti sono riuscita a trovare un appartamento. Non è stato semplice, mi sono rimboccata le maniche e mi sono trasferita, in una settimana ho fatto le visite, firmato il contratto ed ho iniziato a lavorare, ora mi trovo nel reparto di terapia intensiva neurochirurgica».
Non è un rapato Covid, ma trovandosi in ospedale che precauzioni utilizzate per evitare i contagi?
«In tutto l’ospedale le visite dei parenti non sono più ammesse, noi indossiamo sempre copricapo, mascherina ffp2 con sopra quella chirurgica, ovviamente poi il lavaggio delle mani per noi è sempre fisso perché siamo veicoli di infezione».
Quale è stata la cosa più difficile di questi giorni per aver affrontato un cambiamento così radicale?
«Lasciare tutto in dieci giorni e proiettarmi in qualcosa di totalmente sconosciuto: dal punto di vista lavorativo è molto impegnativo e l’organizzazione dell’ospedale è diversa, inoltre, essere in una città per me nuova completamente non è semplice. Abito nel centro di Firenze e avrei voluto viverla normalmente, poter conoscere le gente, fare una passeggiata, qui conosco solo i colleghi di lavoro, nessun altro. La cosa più difficile in assoluto è stato ambientarmi e lo è tutt’ora, a lavoro sono tutti più grandi di me, sono la più giovane di tutto il reparto».
Come trascorre le giornate fuori dall’ospedale?
«Io cerco di uscire da casa il meno possibile, attuo tutte le precauzioni mentendo sempre la distanza di sicurezza. Cucino, faccio esercizi, leggo libri e continuo a studiare per migliorare dal punto di vista della terapia intensiva, un reparto dove non avevo mai lavorato ma fortunatamente avevo fatto tirocinio all’università e mi sono trovata avvantaggiata rispetto ad altri che erano digiuni. Spero di tornare presto a casa per rivedere i miei cari e le persone che ho lasciato in poco tempo come i colleghi del vecchio ospedale; dovrei avere qualche giorno di ferie a breve e spero di riuscire a tornare».
In questi mesi abbiamo letto molte storie di sue colleghe attaccate dai vicini di casa, molte anche di gratitudine per il lavoro che fate, le è capitato di subire offese?
«Un giorno sono andata in un supermercato a fare la spesa, era il giorno prima di Pasqua e c’erano circa settanta persone in fila e io potevo passere perché avevo il badge, quando l’ho fatto sono stata insultata dalle persone in coda e alla fine sono stata difesa dall’addetto della sicurezza del supermercato che mi ha fatto entrare. Da una parte veniamo lodati per il nostro mestiere dall’altra non è bello sentirsi offesi; purtroppo bisogna capire anche la situazione che le persone stanno vivendo, l’ansia e la paura sono generalizzate». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero