Rieti, i Compro Oro non pagano l'Iva sui preziosi destinati alla lavorazione

Un Compro Oro
RIETI - I negozi di Compro Oro possono non pagare l'Iva se non mettono direttamente in vendita gli oggetti preziosi acquistati dai privati, ma li destinano a operatori...

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RIETI - I negozi di Compro Oro possono non pagare l'Iva se non mettono direttamente in vendita gli oggetti preziosi acquistati dai privati, ma li destinano a operatori professionisti del settore che poi procedono alla loro fusione e lavorazione. E’ quanto affermato nella sentenza emessa dalla prima sezione della commissione tributaria provinciale di Rieti, guidata dal presidente della Corte di Appello di Milano Giovanni Canzio, che costituisce un rilevante precedente per l’attività di tutti i titolari di esercizi che si occupano della compravendita di oggetti preziosi.




Una decisione che ha accolto il ricorso presentato dall’avvocatessa Anna Lisa Ciancarelli e dal dottore commercialista Antonino Gambicchia, in favore di una ditta di Rieti, la Euro Oro di Giuseppina Panunzi, contro l’avviso di accertamento (di conseguenza annullato) redatto dall’Agenzia delle Entrate e relativo a una presunta violazione Iva ammontante a 135.724,00 euro, calcolata dalla Guardia di finanza.



La ditta, con sede a Rieti aveva applicato il sistema del reverse change o inversione contabile, un particolare meccanismo che prevede l’assolvimento dell’imposta se i beni

non vengono direttamente inseriti nel circuito commerciale. E il caso di Euro Oro finito all’esame della commissione tributaria, riguardava proprio la cessione di monili a società specializzate di Roma e Milano, operazioni fatturate ma per le quali l’imposta del 20 per cento non era stata pagata.



Il relatore, Giovanni Ariolli, rileva come «non è stata raggiunta la prova che gli oggetti d’oro siano stati direttamente commercializzati, mentre ci sono elementi sufficienti per ritenere che i monili siano stati rivenduti a operatori del settore». La sentenza ritiene corretta l’applicazione del reverse change, in quanto la ditta ha documentato di aver di avere destinato i beni alla fusione mediante cessione e di averli pagati in base al peso e non al pregio e di non averli rivenduti a privati quali beni usati. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero