Frasso Sabino, cisterna romana demolita: indagine in Comune

Una cisterna romana (foto d'Archivio)
RIETI - E’ stata solo frutto dell’ignoranza, intesa come “non conoscenza” della storia, oppure semplice sottovalutazione di un bene dell’epoca...

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RIETI - E’ stata solo frutto dell’ignoranza, intesa come “non conoscenza” della storia, oppure semplice sottovalutazione di un bene dell’epoca romana, quale era la cisterna risalente al terzo secolo dopo Cristo, la sua demolizione avvenuta a Frasso Sabino nel corso dei lavori di ristrutturazione di un casale? Interrogativi che accompagnano le motivazioni della sentenza con la quale un architetto e sua moglie, comproprietari dell’immobile, sono stati assolti in tribunale “perché il fatto non costituisce reato” dall’accusa di aver distrutto un bene di pregio. 

L’atto è stato però trasmesso alla Procura dalla giudice monocratica Loredana Giannitti «al fine di verificare eventuali soggetti responsabili di eventuali comportamenti omissivi». Una conclusione basata sulla circostanza (emersa nel corso del processo, nato da una segnalazione della Sovrintendenza dei Beni culturali) che, in relazione alla presenza nel territorio comunale del prezioso reperto risultato di valore archeologico nazionale, «l’autorità amministrativa comunale è risultata essere edotta e rimasta inerte, benché compiutamente informata». Spostando l’indice delle (presunte) responsabilità dalla coppia assolta al Comune di Frasso Sabino, ed eventualmente verso quegli uffici della struttura che avrebbero avuto il compito di “salvaguardare” la cisterna, mappandola tra i beni archeologici dell’amministrazione - favorendone di conseguenza l’inserimento nel sito del ministero dei Beni culturali - il tribunale ha però escluso qualsiasi dolo da parte della coppia di imputati che non sono stati messi in grado di conoscere l’importanza del bene, conoscenza che non è emersa durante l’istruttoria dibattimentale al di là di ogni ragionevole dubbio. 

La sentenza richiama diverse testimonianze, tra le quali quella resa da un architetto, incaricato nel 1986 dall’amministrazione insieme a un collega, di realizzare una ricerca su Frasso Sabino, conservata nell’archivio storico comunale: «Passando per caso in quella località Gotta Oscura ho notato questa struttura, un paramento murario di antichità romana, e di aver scattato delle foto allegandole allo studio inviato al Comune». Illuminante e chiarificatrice è stata anche la deposizione di uno studioso di cultura locale, autore di un libro acquisito agli atti del dibattimento, in cui ha riferito di «conoscere la cisterna da almeno trent’anni, proprio nel momento in cui era intento a raccogliere il materiale per scrivere la storia di Frasso Sabino» e di averlo appreso proprio dalla relazione degli architetti. Il tribunale, adesso, vuole sapere se dietro la mancata catalogazione della cisterna, che avrebbe evitato la sua distruzione, ci fu incompetenza, ignoranza o altro ancora, ma il troppo tempo trascorso non sembra giocare a favore della verità. 
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Il Messaggero