Tradizione e qualità, da “Checco” il bollito è sempre d'oro

Tradizione e qualità, da “Checco” il bollito è sempre d'oro
RIETI - «Rieti? Ricordo di aver mangiato molto bene da Checco, al Calice D’Oro». È la frase più frequente che capita di ascoltare quando,...

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RIETI - «Rieti? Ricordo di aver mangiato molto bene da Checco, al Calice D’Oro». È la frase più frequente che capita di ascoltare quando, trovandosi fuori città, si rivela a qualcuno la propria provenienza. Senza nulla togliere a tutti gli altri ottimi ristoratori locali, il privilegio del binomio con Rieti spetta meritatamente al ristorante del centro storico, reso famoso da Francesco Marinetti, in arte “Checco”, la cui ultradecennale tradizione viene oggi portata avanti dal figlio Luciano e dal nipote Francesco.

Il cammino. Tutto inizia nel dopoguerra, quando i nonni di “Checco” gestivano una trattoria vicino a piazza Cavour, dalle parti del cosiddetto “burgu delle femmene” - nell’area di via Borgo Sant’Antonio - dove le donne usavano chiacchierare restando sull’uscio di casa mentre i mariti erano al lavoro. «Da lì - spiega Luciano - si passò in via Pennina, nel palazzo che negli ultimi decenni ha ospitato prima la sede della Amg Sebastiani Basket e poi gli studi di Rtr. «Dopodiché, nel 1956 - prosegue il figlio di Checco - ci spostammo nei locali attuali, in via Pennesi, dove fu aperta una nuova trattoria». L’albergo, il “Miramonti”, arrivò più tardi, nel 1962, quando il palazzo adiacente fu venduto all’asta. «Fu comprato grazie all’aiuto di tanti amici - ricorda Luciano - all’epoca ci si aiutava molto fra imprenditori».

Il racconto. A proposito di soldi, Luciano ricorda una frase del padre, scomparso prematuramente, a 59 anni nel 1971, avendo anche un po’ trascurato la salute per mandare avanti la propria creatura. «Checco spesso mi ricordava: “ti lascerò dei debiti, perché il nome del locale è la vera ricchezza, e dovrai lavorare per mantenerlo ad alto livello”». Infatti, è la qualità che ha permesso di trasformare la vecchia trattoria in un ristorante rinomato in tutta Italia: «Mio padre era molto curioso e si teneva sempre aggiornato su ciò che riguardava la ristorazione di qualità». Celebre la risposta che dava a chi gli chiedeva il segreto della bontà delle sue carni: «Il segreto - rispondeva Checco - è che non compro la carne dal “macelladro”».

«Per anni infatti - ricorda Luciano - papà ha selezionato personalmente le vitelle, curandone la macellazione. Oggi non è più possibile, ma ci teniamo a mantenere sempre alto lo standard di ogni ingrediente». Come detto, Checco era molto attento a presentare un menù ricco di ricette, che si trattasse di primi, carni, pesce o altro, «però - spiega il figlio - ciò che induce tanti a lasciare la Salaria e a venire da noi è la qualità di specialità tipiche, come per esempio i nostri bolliti, i cannelloni, il fritto misto all’italiana o la panzanella con la bufala: difficili da trovare nella cucina di ogni giorno». Ma tutto ciò non basta. Infatti, a indurre tanti ad ammettere che «ha fatto più Checco per Rieti che una recensione su internet» sono l’etica professionale e l’attenzione per il cliente.

«Un insegnamento di mio padre che ho sempre tenuto a mente», osserva Luciano, che poi racconta un aneddoto sulle innate qualità di Checco: «Quando affettava le carni o i bolliti, gli chiedevo di insegnarmi e lui rispondeva: “guardami, non saprei dirti a parole, ma usa il coltello come l’archetto di un violino”. Alla fine ho imparato». Questo e tanti altri insegnamenti continuano restare vivi tutt’oggi.

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Il Messaggero