Maria Rita e la stenografia: una preziosa arte da custodire e tramandare

Maria Rita e la stenografia: una preziosa arte da custodire e tramandare
RIETI - Stenografa anche la lista della spesa, Maria Rita, tra un borbottio e l’altro del marito che tenta invano di comprendere cosa ci sia scritto su quei foglietti...

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RIETI - Stenografa anche la lista della spesa, Maria Rita, tra un borbottio e l’altro del marito che tenta invano di comprendere cosa ci sia scritto su quei foglietti volanti. Cinquantaquattro anni, un diploma da analista contabile e un lavoro da sempre svolto in uffici e segreterie, Maria Rita Grossi vive a Roccantica, suggestivo borgo medievale della provincia di Rieti e in Italia è tra le (ormai pochissime) depositarie dell’arte della stenografia.

Depositaria di un'arte. «Nove cose su dieci le stenografo» assicura, dando prova di un utilizzo quotidiano di questo metodo di scrittura veloce tachigrafico, che impiega segni, abbreviazioni o simboli per rappresentare lettere, parole e frasi. Lo ha appreso sui banchi di scuola e non lo ha più lasciato ««anche perché se non ti alleni – spiega – dopo poco tempo lo perdi». E lei non vuole assolutamente rischiare di dimenticare segni e simboli, incomprensibili ai più, ma per lei più familiari dell’alfabeto.

«La stenografia – racconta Maria Rita – mi è sempre piaciuta tantissimo e questo interesse ha fatto sì che apprenderne le regole, per quanto numerose e complicate, non sia stato mai difficile. La studiavo insieme alle altre materie e l’ultimo anno della scuola superiore ho partecipato ai campionati nazionali posizionandomi al 14esimo posto»». Il suo record conta 80 parole scritte in un minuto grazie a ore e ore di pratica e allenamento, stenografando tutto, a cominciare dai servizi del telegiornale: un’autentica palestra per misurarsi con la trascrizione del parlato. Subito dopo il diploma ha iniziato a lavorare in uno studio legale romano dove è rimasta per 12 anni.

Metodo da insegnare. «Lì la stenografia è stata fondamentale – continua Maria Rita – L’avvocato dettava gli atti, io li appuntavo in segni e in poco tempo riuscivo a trascrivere pagine e pagine». Poi c’è stato il matrimonio, due figli, ma la stenografia è rimasta, entrando tra le mura domestiche dove la maggior parte dei promemoria e delle annotazioni è in simboli, che il resto dei familiari ignora. «Ho provato (e ci provo ancora) a insegnare il metodo a mia figlia – ammette Maria Rita – ma non è semplice e utilizzarlo è molto più facile che insegnarlo. È caratterizzato da tante regole e da modi di scrittura difficili da trasferire».

I ricordi. Maria Rita ancora conserva il quaderno di stenografia delle scuole superiori. Quello sul quale si scriveva esclusivamente con la matita specifica. Ora vanno bene anche le penne. «Ma non tutte – precisa – Io uso rigorosamente quella nera, perché con le altre (blu o rossa) alcuni segni in grassetto (modo con il quale si distingue una lettera dall’altra) non vengono bene». E poi, come la calligrafia, anche la stenografia è personale e ognuno ha la propria.

Un codice personale. «Nonostante i simboli siano universali – spiega la stenografa – leggere i testi degli altri è praticamente impossibile, perché quei segni diventano un codice personale. Insomma quello che scrivi non lo capisce nessuno» sorride. L’unica speranza è che Maria Rita si imbatta in qualche parola meno comune. «In quel caso –confessa – la scrivo normalmente per non correre il rischio di non comprenderla dopo». Allora, suggeriremo al marito di abbondare in neologismi, per riuscire finalmente a decifrare il meraviglioso mondo (stenografato) di Maria Rita.

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Il Messaggero