Giugno Antoniano, ecco i “ceri sospesi” per chi non può permettersi di acquistarne uno per la processione di Sant'Antonio

Giugno Antoniano, ecco i “ceri sospesi” per chi non può permettersi di acquistarne uno per la processione di Sant'Antonio
RIETI - Nazzareno Micheli della Pia Unione Sant’Antonio di Padova è da due anni un addetto ai ceri. In una stanza che si apre sul chiostro di Sant'Agostino ce ne...

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RIETI - Nazzareno Micheli della Pia Unione Sant’Antonio di Padova è da due anni un addetto ai ceri. In una stanza che si apre sul chiostro di Sant'Agostino ce ne sono centinaia, divisi ordinatamente a seconda del loro peso. Lunghi cilindri avvolti in carta grezza, di circonferenze diverse: i più numerosi vanno da uno a sei chili, poi ci sono quelli da otto, da dieci, uno da venti. La gente li compra gradualmente nella settimana che precede la solenne processione della domenica, per scegliere con più cura ed evitare file la mattina stessa.

Nazzareno smista e consiglia, ascolta richieste e devozioni, a volte storie o preghiere. E racconta che per la sola processione si vendono dieci quintali di cera. «Conosco bene questo tipo di devozione, si usava anche nella mia famiglia. Il 13 giugno 1964, mentre a Madonna del Cuore giravamo il fieno, rimasi incastrato tra due rami su una pianta di ciliegio. Per farmi scendere dovettero tagliare la pianta, e mamma da allora portò il cero in processione, alternandosi con me: siamo arrivati a portare 26 chili».

La scelta. «Ogni persona sceglie un cero in base a tante variabili, ciascuna differente dall'altra. C'è chi chiede un'intercessione per un problema, ma i più numerosi vanno in processione imbracciandolo in segno di una grazia ricevuta». Grazia naturalmente attribuita a sant'Antonio di Padova: e tradizione vuole che il peso debba crescere di un chilo ogni anno, perché la gratitudine sia simbolicamente sempre più robusta. Il più pesante della storia della devozione antoniana reatina lo portava Giovanni Buccioni, aiutandosi con un carrellino su ruote. Pare che la motivazione risalisse alla guerra in Africa, quando fu ritrovato sotto un cumulo di sabbia rovente che gli bruciò un polmone: anche in quel caso, era il 13 giugno. Un altro, di circa 60 chili, lo portava con il carrello in processione il netturbino Antonio Ifilti, morto a 55 anni una decina anni: «Aveva una devozione sconfinata per il santo di cui portava il nome».

Costi proibitivi. La fiamma di quel cero dipinto con rami rossi e verdi arde nei paraggi del chiostro, continuamente rinvigorita dai confratelli. Un'usanza mai interrotta, che resiste nel tempo nonostante i costi quasi proibitivi della cera, arrivata ormai a dieci euro al chilo. «Magari rinunciano ad altro, ma non al cero per sant'Antonio. In processione se ne consuma generalmente la metà, alcuni ci rendono ciò che rimane e noi lo rifondiamo per l'anno successivo, altri lo portano a casa, per tenerlo acceso tra le pareti domestiche».

La spinta solidale. Ma non tutti sanno che c'è una spinta solidale anche dietro l'antichissima tradizione del cero. Sono infatti molti quelli che ne lasciano uno "sospeso", perché ne usufruisca chi non può permetterselo. Nazzareno ne mostra un piccolo cumulo, di vari pesi e grandezze: «A volte le persone ne portano uno in processione in ricordo di una persona che non c'è più, ed è frequente che affidino la fiamma del suo ricordo a qualcun'altro». Così, come con il giglio, la fede antoniana reatina circola anche con i suoi simboli, attraverso chi silenziosamente dà e chi silenziosamente riceve.

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Il Messaggero