Coronavirus, la quotidiana battaglia da trincea dei medici di base

Coronavirus, la quotidiana battaglia da trincea dei medici di base
RIETI - Coronavirus, mascherine e guanti in lattice sono il loro elmetto quando escono in missione, telefono e pc le armi con le quali combattono quotidianamente la loro battaglia...

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RIETI - Coronavirus, mascherine e guanti in lattice sono il loro elmetto quando escono in missione, telefono e pc le armi con le quali combattono quotidianamente la loro battaglia contro il Covid-19, nemico invisibile e subdolo, incubo assai più pericoloso dei quanto furono i khmer rossi per i marines americani nella giungla Vietnamita.


Dopo i medici e gli infermieri che combattono nell'inferno degli ospedali, il fronte più acceso continuano ad essere i pochi studi medici ancora aperti e, più in generale, l'attività dei medici di base, incursori ma ancor più fanti da trincea nella loro stanze, sempre più spesso al telefono e su internet, inviando telematicamente le ricette. Ma quando si tratta di ricevere o recarsi a visitare un paziente apparentemente sano, anche le certezze più granitiche iniziano a vacillare.

La loro vita, la loro professione ai tempi del coronavirus è completamente cambiata. Stravolta, per meglio dire.

«Si è senz’altro instaurato un modo differente di lavorare – osserva il reatino Paolo Bigliocchi, medico di base ed ex assessore e consigliere comunale in diverse legislature - Il coronavirus è un problema in più, ma non ha azzerato le altre problematiche: i pazienti che hanno altre patologie continuano ad esistere ed hanno bisogno del medico. Si lavora di più perché si sommano le problematiche psicologiche dei pazienti, si è più spesso al telefono e si utilizzano maggiormente le vie informatiche, con una riduzione di presenze fisiche a studio. Mai, come in questo momento, è importante esserci per far capire che siamo qui: come medici di base potremmo fare di più, invece stiamo lavorando senza alcun presidio di tutela, come dimostrano i colleghi morti al nord Italia. Mascherine, guanti, camici e occhiali che abbiamo li abbiamo trovati noi, tramite conoscenti o sul mercato, non ce li ha forniti nessuno – denuncia Bigliocchi, come molti altri suoi colleghi - E se negli studi medici cominciano a comparire casi di positività, si trasformeranno in bombe infettive. Andiamo al lavoro con la sensazione che il nostro dovere possa fregarci. E’ un gioco pesante e nelle prossime settimane avremo anche le ripercussioni psicologiche di questa quarantena, con sintomi importanti di stress perché stiamo facendo una vita alla quale non siamo abituati. I segnali poi, ad oggi, non sono positivi e questo aumenta la componente di paura delle persone».

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Negli ampi studi medici cittadini tutto è ragionato per ridurre al minimo ogni contatto, ma i primi segnali di stress sono evidenti e molti presidi haanno iniziato a chiudere. A Passo Corese, Poggio Mirrteto, l'ultimo a Forano. A Casperia e comuni limitrofi, addirrittura, migliaia di persone sono rimaste senza medico di base dopo che il vecchio dottore è andato in pensione per raggiunti limiti di età e il sostituto, in piena emergenza coronavirus, ha rinunciato all'incarico dopo neppure un mese.


«Riceviamo soltanto su appuntamento, in studio anche le nostre segretarie sono protette all’interno di una stanza - spiega Renzo Broccoletti, dello studio Medicinque di viale Morroni a Rieti – La ricettazione delle patologie croniche la inviamo via e-mail e a chi è impossibilitato a venire forniamo il codice per l’acquisto in farmacia. I pazienti ora però ci chiamano in maniera continuativa, svolgiamo triage telefonico a tutte le ore del giorno, anche sabato e domenica e non rispettiamo più le turnazioni stabilite. La gente è impaurita: chi vive in ambiente stretti va seguito anche psicologicamente e ciò che prima era irrilevante ora è un problema». E nessuno ha idea di quando finirà. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero