A un anno dalla condanna in primo grado all'ergastolo, venerdì mattina, 30 giugno, al palazzo di giustizia di Brescia si aprirà il processo d'appello a...
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Tra questi la presenza del suo furgone nella zona di Brembate Sopra in un orario compatibile con quello del rapimento di Yara, la presenza sul corpo della tredicenne di sferette metalliche tipiche del lavoro edilizio e i tabulati telefonici che localizzano Bossetti in quella zona negli orari in cui Yara veniva allontanata per sempre dalla sua famiglia. «Stimata in 7 miliardi la popolazione mondiale, per trovare un altro individuo, oltre a Massimo Bossetti, con le stesse caratteristiche genetiche sarebbero necessari centotrenta miliardi di altri mondi uguali al nostro, ossia un numero di persone nettamente superiore non solo alla popolazione mondiale attuale, ma anche a quella mai vissuta dagli albori dell'umanità», scrivevano nella sentenza di condanna i giudici di Bergamo.
Sostenendo insomma che il profilo genetico trovato sugli slip di Yara non può che essere il suo. Bossetti si è sempre dichiarato innocente, sostenendo di non aver mai conosciuto Yara né di averle mai fatto del male. I suoi avvocati hanno sempre chiesto in primo grado e lo faranno, si presume, anche a Brescia, la ripetizione della prova del Dna, perché convinti vi sia stato un errore. A lui si arrivò tramite il Dna della madre, Ester Arzuffi che ha sempre difeso il figlio, così come la gemella di Bossetti, Laura Letizia. Anche la moglie del carpentiere (la coppia ha tre figli) ha sempre difeso il marito: in una recente intervista ha dichiarato che non divorzierà mai dal marito, «nemmeno se l'ergastolo dovesse essere confermato», perché crede nella sua innocenza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero