Massimo Bossetti resta impassibile, osserva i giurati senza proferire parola quando il presidente della corte d'assise di Bergamo, Alessandra Bertoja, pronuncia la parola...
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Non è possibile, non è giusto, non sono stato io», le prime parole di sfogo ai suoi legali prima di tornare in carcere. «E andata come doveva andare, ma questa è e resta una tragedia per tutti che non ci restituisce indietro nostra figlia», il commento dei genitori di Yara Gambirasio. Mamma Maura e papà Fulvio, restano lontano dall'aula affollata da curiosi e giornalisti. L'atteggiamento di riservatezza che da sempre li accompagna non viene intaccato da questo primo verdetto: dal momento dell'arresto non hanno mai avuto dubbi. L'ultimo appello di Bossetti ai giurati cade nel vuoto: a loro si rivolge chiedendo di credergli. Li guarda negli occhi quando li supplica di poter rifare l'esame del Dna, quando racconta «le pressioni per confessare un delitto» di cui è estraneo, li mette in guardia dal non commettere un errore, li invita «a non condannare un innocente». E un racconto teso, appassionato, che racchiude la tensione degli ultimi due anni quando per il muratore insospettabile, padre di tre figli, si aprono le porte del carcere.
«Sarò un ingenuotto, uno stupido, ma non sono un assassino», dice nelle sue dichiarazioni spontanee prima di un verdetto, arrivato dopo circa 10 ore di camera di consiglio, che gli dà torto. «Se mi condannerete questo sarà il più grave errore giudiziario di questo secolo. Mi rendo conto che è difficile assolvere Bossetti, ma è molto più difficile sapere di avere condannato un innocente», dice ai giurati. «Vi imploro, vi supplico, fatemi ripetere l'esame del Dna» perché «è un errore, io non ho ucciso Yara, nemmeno l'ho mai conosciuta». Il racconto di un imputato modello, di un uomo «pronto ad aiutare il prossimo» - ha adottato una famiglia in Messico per aiutarli a far studiare il figlio - di un marito e un padre «non incline alla violenza» non convince la giuria. La corte decide che non avrà la patria podestà dei suoi tre bimbi. Su di lui, detto 'Il favolà, pesa l'inclinazione alle bugie, l'assenza di un alibi per quel «maledettissimo giorno». Per lui semplice muratore di Mapello quel 26 novembre 2010, il giorno in cui Yara esce dalla palestra e non fa più ritorno a casa, «è uguale agli altri».
La moglie Marita Comi è in aula quando la corte decide di accogliere l'impianto accusatorio.
Il Messaggero