Volo MH370, i parenti dei passeggeri sulla rotta dell'aereo scomparso: "Vogliamo fare le nostre ricerche"

Volo MH370, i parenti dei passeggeri sulla rotta dell'aereo scomparso: "Vogliamo fare le nostre ricerche"
Sono passati più di due anni da quella data maledetta, l’8 marzo 2014. Mille giorni di ricerche, speranze, tentativi e ipotesi. Ma il volo MH370 della Malaysia...

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Sono passati più di due anni da quella data maledetta, l’8 marzo 2014. Mille giorni di ricerche, speranze, tentativi e ipotesi. Ma il volo MH370 della Malaysia Airlines non è mai stato ritrovato. Ora, i parenti dei 239 passeggeri, esasperati da un’indagine che sembra destinata a non finire mai, e soprattutto a non arrivare ad una verità definitiva, hanno deciso di fare la loro parte, di contribuire – per quanto è in loro potere – alle ricerche. Si sono quindi messi in viaggio verso il Madagascar, seguendo la probabile rotta compiuta dall’aereo prima di inabissarsi nell’Oceano Indiano. Vogliono capire cosa possa essere successo.


«Spetta a noi adesso fare questa ricerca» ha detto dopo l’arrivo in Madagascar Grace Subathirai Nathan, portavoce di un gruppo di supporto che riunisce i congiunti dei passeggeri del volo MH370. «Dopo ripetute richieste di mobilitazione per una ricerca lungo le coste orientali dell’Africa, niente è stato fatto sinora. Vogliamo parlare col maggior numero di persone possibile, soprattutto con le organizzazioni non governative, con i missionari, con le varie comunità religiose. Vogliamo parlare con i pescatori, con chi vive lungo la costa. Ci auguriamo di creare consapevolezza tra queste persone, insegnare loro a identificare dei rottami, raccoglierli e fare tutte quelle operazioni che si devono compiere quando vengono rinvenuti degli oggetti superstiti».

Di rottami, sinora, ne sono stati trovati soltanto venti. Grace Subathirai Nathan è figlia di una donna che viaggiava su quell’aereo, partito da Kuala Lumpur e diretto a Pechino: è giunta ieri in Madagascar insieme a quattro cittadini malesi, due cinesi e un francese. Erano numerose, infatti, le nazionalità dei passeggeri a bordo di quell’aereo maledetto. Hanno portato con sé dépliants e brochures da distribuire alla popolazione locale, per istruirla sulle procedure da compiere nel caso dovessero rinvenire altri rottami.

I frammenti del velivolo provengono da un’area molto vasta, pari a circa 120mila km quadrati, che va dal Mozambico al Sudafrica sino ad alcuni arcipelaghi del Pacifico. In particolare, tre rottami sono giunti rispettivamente sulle spiagge delle isole Mauritius, della Tanzania e di Reunion; dopo un’attenta analisi, è arrivata la conferma che essi appartengono all’MH370. Intanto, mentre prosegue l’esame su altri frammenti, si prevede che entro la fine dell’anno le indagini, a capo delle quali vi è un team a guida australiana, saranno sospese per l’ennesima volta.

L’ultima ipotesi accreditata è che l’aereo non fosse pilotato quando si è inabissato nel Pacifico, precipitando in acqua dopo una lunga planata dovuta alla carenza di carburante. Intanto, i familiari delle vittime dell’incidente, spinti dalla disperazione e dalla ferrea volontà di non arrendersi, si battono perché sulla sorte dei loro cari venga detta una parola definitiva. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero