Non erano pellicce sintetiche. Ma d'origine animale, realizzate con peli di cane. Non del quattrozampe domestico ma del procione, nome scientifico Tanuki, mammifero...
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«Questi beni - hanno spiegato le Fiamme Gialle - venivano posti in commercio con l’indicazione sui cartelli della composizione in materiale sintetico, ma accertamenti tecnici hanno consentito di riscontrare come la pelliccia apposta sugli stessi fosse di origine animale, in particolare di cane procione. Un trucco teso a danneggiare i consumatori certi di acquistare un bene diverso da quello che avrebbero effettivamente acquistato». Denunciato per frode in commercio un importatore milanese che aveva distibuito i capi falsificati nel mercato verbanese attraverso un rivenditore cinese.
La truffa puntava a ingannare i clienti sempre più attenti agli acquisti "animalisti" che mai avrebbero comprato prodotti di questo genere. Pochi giorni fa era diventato virale sui social il cartello di un barista che vietata l'ingresso nel suo locale alle pellicce. Magari i truffatori pensavano di aggirare in questo modo "blocchi" del genere e soddisfare con l'inganno il desiderio di quanti mai entrerebbero in una pellicceria.
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Il Messaggero