NEW YORK – «Inevitabili»: ecco come il New York Times ha valutato la posizione di Donald Trump e Hillary Clinton dopo le vittorie che i due candidati hanno...
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Sia Trump che Hillary hanno tenuto discorsi assumendo il tono di chi si sente già nella campagna presidenziale e non più nella lotta delle primarie, ma lo stile è stato molto diverso. Hillary, che ha parlato a Filadelfia, dove a luglio si terrà la convention del partito, ha steso una mano a Bernie Sanders, ringraziandolo per aver dato «un contributo importantissimo» alla campagna, e insistendo che tutti e due condividono gli stessi ideali progressisti e insieme potranno combattere per difenderli: «Sono più le cose che ci uniscono che non quelle che ci dividono: siamo d’accordo che i salari sono troppo bassi, e la diseguaglianza economica troppo grande, che dobbiamo proteggere le pensioni, rendere l’università più accessibile, garantire l’assistenza sanitaria a ogni americano – ha elencato con tono sempre più appassionato, accompagnata dall’entusiasmo del pubblico -. Siamo d’accordo che non dobbiamo mandare i nostri soldati a combattere un’altra guerra nel Medio Oriente, che dobbiamo affrontare i cambiamenti climatici, e difendere i diritti civili». Di fatto, Hillary ha riassunto il suo programma elettorale, dimostrando come l’influenza di Sanders l’abbia effettivamente spostata a sinistra, e lanciando un chiaro appello all’unità: «Insieme potremo proteggere questi principi, in un’America che guarda al futuro, in cui l’amore è più forte dell’odio», e quest’ultima frase era una frecciata diretta a Donald Trump, che ha parlato poco dopo dal suo grattacielo di New York, e che invece ha tenuto i suoi soliti toni polemici, talvolta offensivi, ed estremamente vaghi.
Il miliardario ha sottolineato con ovvia soddisfazione la schiacciante vittoria della serata, facendo ironia sia sul senatore Ted Cruz che il governatore John Kasich, che pur sonoramente sconfitti non intendono abbandonare la corsa: «Ho sentito che Cruz terrà una conferenza stampa, immagino voglia dire che abbandonerà la gara» ha detto, ben sapendo che invece i suoi due rivali tenteranno ancora di sfidarlo in altre primarie nel mese di maggio, nel tentativo di impedirgli di arrivare al numero magico di 1237 e forzare la Convention a decidere la nomination con un voto. Ma lui la vede diversamente: «Per quanto mi riguarda – ha affermato con una certa durezza - i giochi sono fatti, e io sono il presunto vincitore della nomination». Ma quanto a durezza, la dose più pesante Trump l’ha riservata a Hillary Clinton, contro la quale ha pronunciato una filippica piena di accuse, sostenendo che è «un’incapace, «una corrotta», e che da segretario di Stato ha «fatto tutto sbagliato», e che «dovrebbe essere incriminata» per lo scandalo del mailgate (l’uso che la signora ha fatto di un server privato per la propria mail, invece che quello ufficiale del Dipartimento di Stato).
Se il nuovo manager della campagna Paul Manafort sperava che Trump assumesse toni e portamento più presidenziali, deve essersi sentito molto deluso dall’atteggiamento quanto mai provocatorio del candidato, che invece ha recitato tutti i più noti “trumpismi”, dall’attacco agli immigrati, alle critiche a Barack Obama e alla sua campagna contro i cambiamenti climatici, alla promessa di «disfare tutti gli accordi commerciali» ecc ecc. Un Trump tornato “mastino” quello uscito dalle cinque primarie di ieri sera, dopo la brevissima parentesi in cui l‘avevamo visto più signorile e pacato, dopo la vittoria nello Stato di New York. E a quanto pare, è stato proprio lui a decidere di tornare aggressivo: «Non sapete quanti tweet ho ricevuto – ha rivelato ieri sera – erano tutti sostenitori che mi supplicavano di non cambiare». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero