Forse c'è un futuro per Charlie. Forse solo qualche settimana o qualche mese. Ma il conto alla rovescia per staccargli la spina si è fermato. Il protocollo...
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Dopo i tentennamenti delle ultime ore, l'ospedale ha diffuso un comunicato di fronte al quale è difficile che l'Alta Corte risponda no. «È giusto tentare», scrive il Great Ormond Street Hospital, dopo che «due ospedali internazionali e i loro ricercatori ci hanno comunicato nelle ultime 24 ore di avere nuovi dati a proposito del trattamento sperimentale da essi proposto». Una decisione presa «assieme ai genitori» del bambino che, almeno, blocca la corsa all'interruzione del sostegno fornito dalle macchine che lo tengono in vita. I risultati della ricerca e la richiesta di poter somministrare il trattamento messo a punto, contenuti in una lettera su carta intestata dell'ospedale vaticano, sono stati inviati al nosocomio della capitale britannica. Gli esperti propongono una terapia a base di deossinucleosidi, molecole simili ai 'mattonì del Dna. Nel documento dimostrano, sulla base di studi già comparsi su riviste scientifiche e di dati ancora non pubblicati, che queste molecole sono in grado di superare la barriera emato-encefalica, quella che separa i vasi sanguigni dal cervello, e quindi di avere effetto sull'encefalopatia che ha colpito il piccolo.
La svolta è arrivata al termine di una giornata convulsa in cui l'attenzione del mondo, tra speranze e paure, si è concentrata attorno al lettino di Charlie, a quegli occhi chiusi, ai peluche, twittati e ritwittati ossessivamente migliaia di volte. Un esorcismo collettivo della paura ma anche tanta solidarietà di fronte alla fede incrollabile dei genitori in una soluzione che possa consentire di guadagnare almeno un pò di tempo. «Mio figlio non sta soffrendo», ha detto la mamma di Charlie, Connie, che ha lanciato un appello alla premier Theresa May perché «ci sostenga» e ha affermato che le probabilità di successo di una terapia sperimentale sarebbe attorno al 10%. Poco, in termini assoluti, anche perchè non è chiaro in che cosa, in quale 'qualità' di vita si tradurrebbe un eventuale buon esito della terapia.
Molto, anzi moltissimo, di fronte a una morte annunciata per decreto.
Il Messaggero