Ungaretti difendeva Pasolini: «Ragazzi di vita non è osceno»

Pier Paolo Pasolini a Centocelle
Il romanzo «Ragazzi di vita» dello scrittore Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è «uno dei migliori libri di prosa narrativa apparsi in Italia» negli...

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Il romanzo «Ragazzi di vita» dello scrittore Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è «uno dei migliori libri di prosa narrativa apparsi in Italia» negli anni '50. «Questa mia convinzione l'ho dimostrata sostenendo il romanzo prima per il premio Strega, poi per il premio Viareggio. Le parole messe in bocca a quei ragazzi, sono le parole che sono soliti usare e sarebbe stato, mi pare, offendere la verità, farli parlare come cicisbei».


Il poeta Giuseppe Ungaretti (1888-1970) si spese in prima persona per difendere il poeta che aveva fatto di Roma la sua città adottiva. In una lettera dell'estate 1956 inviata ai giudici del Tribunale di Milano in vista del processo che il 4 luglio di quell'anno vide Pasolini imputato dei reati di oscenità e pornografia per la pubblicazione del libro, accuse da cui poi fu assolto. La missiva in difesa dell'opera pasoliniana è contenuta in un vasto archivio di manoscritti di Ungaretti (circa 630 carte raccolte ordinatamente in 13 cartelline bianche) che con una stima di 100-120mila euro andrà all'asta da Minerva Auctions (Gruppo Finarte) martedì 12 giugno a Roma, nella sede di Palazzo Odescalchi. Dalle carte inedite presenti nell'archivio messo in vendita la prossima settimana emerge che fu lo stesso Pasolini a sollecitare al poeta un atto a sua difesa, chiedendogli di testimoniare allo stesso processo o quanto meno di scrivere una lettera da far recapitare al Tribunale.

Angosciato dall'udienza che si sarebbe tenuta nel giro di una decina di giorni, il 25 giugno 1956 Pasolini inviò una lettera raccomandata a Ungaretti in cui tra l'altro scriveva: «Questo processo mi ha così umiliato e depresso in questi mesi che non sono più riuscito a lavorare al nuovo libro. Non posso che dirle che spero molto nel suo entusiasmo e nella sua generosità, e ripeterle che sono infinitamente addolorato per questa mia coazione. Mi perdoni».
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Il Messaggero