«La democrazia è come un tram, sali e ti fai portare dove vuoi arrivare, poi scendi», diceva 20 anni fa il giovane sindaco islamico di Istanbul Recep Tayyip Erdogan, astro...
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Intanto però come molti temevano la tensione è salita alle stelle con un probabile attentato che ha insanguinato l'ultimo comizio a Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, del leader del Hdp Selahattin Demirtas, "l'Obama curdo", il cui risultato potrebbe essere decisivo per il futuro assetto politico del paese.
Due esplosioni in un cestino dei rifiuti e in una centralina elettrica hanno fatto almeno quattro morti e 350 feriti gettando nel panico la folla che aspettava Demirtas. Dinamica e motivi della strage ancora non sono chiari, anche se il ministro dell'energia ha escluso l'esplosione accidentale. Ma suona come una provocazione, che potrebbe innescare sanguinosi disordini alla vigilia del voto. Una situazione di caos nel Kurdistan potrebbe riportare verso il partito islamico di Erdogan parte dell' elettorato nazionalista che i sondaggi danno in fuga dall'Akp.
Demirtas ha lanciato un immediato appello alla calma, a non rispondere alle provocazioni. Dalla rivolta di Gezi Park e dalla Tangentopoli del Bosforo di due anni fa Erdogan ha imposto al Paese una stretta autoritaria e islamica. Domenica ha chiesto agli elettori una maggioranza di 330 deputati su 550 per cambiare la costituzione e imporre un regime superpresidenziale, che gli dia pieni poteri. Una «dittatura islamica» tuona l'opposizione. Sarà, avverte il politologo Usa John Tures, il voto più importante per la Turchia da quasi 100 anni, da quando Mustafa Kemal Ataturk fondò nel 1923 la repubblica laica e democratica sulle rovine dell'impero ottomano e islamico. Potrebbe essere, scrive l'analista Yusuf Kanli, «l'ultima uscita prima della dittatura».
Il Paese appare a un bivio fra autoritarismo e fragile democrazia, fra Islam e Occidente. Il voto, aggiunge Kensli, può «spingere il sistema di governo verso una forma di dittatura eletta o salvare una democrazia resa fragile da 13 anni di governo» del partito islamico Akp. In teoria super-partes come presidente secondo la costituzione, Erdogan si è gettato nella battaglia elettorale con la consueta ferocia verbale, denunciando in mille comizi i leader dell'opposizione, i complotti della stampa turca e internazionale e della lobby armena orchestrati da una occulta «mente superiore». Se l'è presa con il direttore di Cumhuriyet Can Dundar, di cui ha chiesto la condanna all'ergastolo per avere pubblicato le prove delle consegne di armi ai gruppi jihadisti in Siria da parte dei servizi segreti turchi del Mit.
Ma nonostante il controllo su giustizia, polizia, servizi segreti, media privati e pubblici - 99 ore a Erdogan e al premier Ahmet Davutoglu contro 25 ai tre partiti di opposizione Chp, Mhp e Hdp sulla tv pubblica Trt - il risultato del voto appare incerto. Molto dipenderà proprio dal partito curdo Hdp di Selahattin Demirtas, da giorni vittima di decine di attacchi. Ancora lunedì è stato ucciso un attivista, martedi migliaia di nazionalisti hanno attaccato un comizio Hdp. Demirtas fa paura a Erdogan. Se supererà la sbarra del 10% (i sondaggi lo danno fra il 9,5% e il 12%) prenderà fra 50 e 60 deputati. E il "sultano" perderà la sua scommessa. L'Akp è dato in calo al 39-44% contro il 50% alle politiche 2011, il Chp di Kemal Kilicdaroglu al 26-28%, l'Mhp di Devlet Bahceli al 15 -17%. Per la prima volta il 'sultanò potrebbe non vincere. O perfino perdere. Se l'Hdp restasse sotto il 10% l'Akp potrebbe salire a quota 330, o comunque restare al governo con almeno 276 deputati. Se l'Obama curdo ce la farà invece il partito islamico non arriverà a 330 seggi, e forse neppure a 276. Potrebbe tentare un governo minoritario fino a elezioni anticipate.
Anche i partiti di opposizione potrebbero però tentare una difficile coalizione - con scintille fra i curdi del Hdp e i nazionalisti del Mhp - a tre per togliere il controllo del governo a Erdogan.
Il Messaggero