La furia di Erdogan non risparmia nessuno. Ora dopo ora, in Turchia si sgrana un rosario di oppositori cacciati o detenuti. A 5 giorni dal fallito golpe, le purghe del presidente...
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LA PENA DI MORTE
Ankara insiste però nel braccio di ferro con gli Stati Uniti per l'estradizione di Fethullah Gulen. Non si ferma neppure il riavvicinamento alla pena di morte, costantemente invocata dalle folle islamiche nazionaliste che ogni sera invadono le strade della Turchia. Le epurazioni-monstre, che in queste ore si aggiornano di continuo, hanno visto ieri nel mirino il settore dell'istruzione, considerato una delle roccaforti della rete di Gulen. Il ministero ha sospeso 15.200 insegnanti pubblici e tolto la licenza a 21mila docenti privati, molti dei quali impiegati nelle dershane, le scuole vicine a Gulen, che più volte il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva già provato a chiudere.
Tra gli arrestati il rettore dell'Università di Gazi ad Ankara, Suleyman Buyukberber, poco dopo essere stato rimosso dal suo incarico. Lo riferisce la tv statale Trt. Dopo centinaia di allontanamenti, si tratta del primo arresto noto di un accademico a seguito del fallito golpe.
Nel mirino anche l'università, con tutti i 1.577 decani degli atenei turchi a cui sono state chieste le dimissioni, a questo punto inevitabili. Molti, le hanno già rassegnate. Le purghe non risparmiano neppure gli imam e i professori di religione. La Diyanet, massima autorità islamica che dipende dallo Stato, ha annunciato di averne allontanati 492. E poi, ancora: un centinaio di sospesi dai Servizi segreti e 393 dal ministero della Famiglia, oltre ai 13mila già cacciati dal ministero dell'Interno (per lo più poliziotti), da quello delle Finanze e dalla magistratura. Numeri spaventosi che fanno gridare da più parti a una sospensione totale dello Stato di diritto.
Il bilancio. Continuano a crescere anche gli arresti. Le persone finite in manette con l'accusa di aver complottato con gli insorti sono salite a 9.322. Eppure, le responsabilità sul golpe si fanno sempre più oscure. In un comunicato ufficiale, le Forze armate hanno ammesso di aver saputo dai servizi segreti della preparazione di un colpo di stato già alle 4 di venerdì pomeriggio, con diverse ore di anticipo. Ma perché i golpisti non siano stati bloccati resta al momento un mistero.
In questo clima, Erdogan insiste per la pena di morte. Dopo aver promesso di ratificarne un'eventuale reintroduzione da parte del Parlamento, ha incassato l'appoggio dell'opposizione nazionalista. Ma su questo, l'Ue si mostra intransigente: in caso di ritorno alla pena capitale, i negoziati di adesione - in corso da più di dieci anni - possono considerarsi interrotti.
Il Consiglio per l'alta educazione (Yok) ha inoltre imposto un divieto di espatrio a tutti i professori universitari turchi. Lo riferisce la tv di stato Trt. Ieri, lo stesso Yok aveva chiesto le dimissioni dei 1.577 decani delle università della Turchia. Secondo quanto riferisce Trt, il provvedimento include anche la richiesta ai professori universitari attualmente all'estero di rientrare in Turchia il più presto possibile.
La confessione del consigliere del capo di Stato maggiore. Il consigliere del capo di Stato maggiore turco, il luogotenente colonnello Levent Turkkan, ha confessato di far parte della rete di Gulen.
Chiuse 24 fra tv e radio. Sono almeno 24 le radio e televisioni turche chiuse a seguito del provvedimento emanato ieri dal Consiglio supremo per la radio e la televisione (Rtuk), che ha revocato le licenze ai media ritenuti vicini a Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere dietro il fallito golpe. Per le stesse ragioni, la Direzione generale per l'informazione (Byegm), che dipende dalla Presidenza del Consiglio, ha revocato gli accrediti stampa a 34 giornalisti turchi.
Il vertice. Nonostante le purghe di massa, in Turchia la resa dei conti sembra appena cominciata. A farlo capire, è stato lo stesso Erdogan, avvisando che dopo il Consiglio di sicurezza nazionale in programma oggi, verrà annunciata «un'importante decisione». Intanto il presidente turco ha espresso la volontà di costruire caserme e una moschea a piazza Taksim, uno dei luoghi simbolo della laicità turca, e contemporaneamente la chiusura del centro di cultura Ataturk.
Emergono ora anche i messaggi che i golpisti si sono scambiati con Whatsapp. «All'aeroporto Ataturk tutto ok. Gli ingressi sono vietati. Le uscite libere», chattava il colonnello Mustafa Kol la notte del golpe. «A Taksim la situazione è critica», rispondeva poco dopo Muslum Kaya, colonnello pure lui. È così, con i messaggini istantanei che si scambiavano informazioni i militari che stavano cercando di rovesciare il presidente Tayyip Erdogan. Ma lo stesso sultano si è salvato con l'aiuto della tanto vituperata tecnologia del web, attraverso l'appello ai suoi via FaceTime.
Striscione in piazza Taksim: «Vi impiccheremo tutti». «Feto (Gulen, ndr), cane del diavolo, impiccheremo te e i tuoi cani al vostro stesso guinzaglio»: così recita un enorme striscione, di molti metri quadrati, appeso sulla facciata del centro culturale Ataturk, a piazza Taksim a Istanbul. A fianco, due maxi ritratti del presidente Recep Tayyip Erdogan. Dopo il golpe fallito, la piazza, simbolo della metropoli sul Bosforo, è stata occupata ogni sera da folle islamiche nazionaliste a sostegno di Erdogan. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero