La Farnesina alza la voce con Ankara sul caso del documentarista e giornalista italiano Gabriele Del Grande fermato 9 giorni fa in Turchia durante un controllo al confine con la...
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«La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro. Ho subito interrogatori al riguardo. Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta. Non mi è stato detto che le autorità italiane volevano mettersi in contatto con me», ha aggiunto Del Grande nel breve colloquio, spiegando di essere stato prima «tenuto in un centro di identificazione e di espulsione di Hatay», alla frontiera con la Siria, e poi «trasferito a Mugla», sulla costa egea, «sempre in un centro di identificazione ed espulsione, in isolamento». «Non è lì per far del male a qualcuno, lui fa lo scrittore e il giornalista, non è un terrorista, lo devono rimandare a casa, ha una moglie e due bimbi piccoli che lo aspettano», ha dichiarato - comprensibilmente in ansia per il figlio, il padre di Gabriele, Massimo Del Grande. «Gabriele - ha sottolineato il padre - è una persona che ha sempre seminato per costruire un mondo migliore, quindi non era lì per far dispetto a nessuno, era lì per prendere delle notizie, per scrivere un libro e per dar voce a chi non ha voce». Giunto in Turchia il 7 aprile per realizzare alcune interviste, il giornalista è stato fermato «in una zona del Paese in cui non è consentito l'accesso», come sottolineato nei giorni scorsi dalla Farnesina che fin dall'inizio «segue la vicenda con la massima attenzione facendo pressioni a tutti i livelli».
Ma ancora, come confermato all'ANSA da fonti diplomatiche, non è stata fornita una data certa per il suo rimpatrio, che dovrebbe avvenire dopo il completamento di alcune procedure giudiziarie relative all'espulsione dal Paese.
Il Messaggero