I ministri di Trump: Giuliani agli Esteri è la prima grana tra i repubblicani

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NEW YORK «Il giorno dell'inaugurazione si avvicina, e nessuno può spostarne la data». Il portavoce della squadra di transizione di Donald Trump, Jason...

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NEW YORK «Il giorno dell'inaugurazione si avvicina, e nessuno può spostarne la data». Il portavoce della squadra di transizione di Donald Trump, Jason Miller, è preoccupato e ne ha ben motivo: dallo scorso venerdì con la cacciata di Chris Christie, il processo di selezione delle prossime cariche di governo è diventato più intricato e confuso, e allo stesso tempo più autoritario. Christie aveva lavorato per mesi all'incarico, nel tentativo di assicurare un passaggio di consegne rapido ed efficace. Era riuscito ad esempio ad accordarsi con l'amministrazione Obama su alcuni dei capisaldi formali della transizione, incluso il codice etico al quale si sarebbero adeguati i reclutatori nell'esaminare i candidati. Con l'arrivo di Mike Pence venerdì alla direzione, tutto il lavoro è saltato, e da allora la Trump Tower è stata presa d'assalto da figure vecchie e nuove della politica, ognuno dei quali porta idee diverse sugli standard da seguire, e una diversa lista di nomi da suggerire. L'ex funzionario del dipartimento di Stato di Condoleezza Rice, Eliot Cohen, che era stato contattato nella qualità di consulente, ieri ha twittato: «State alla larga. Sono arroganti e inferociti, e continuano a urlare: Avete perso! Ora saranno tempi duri!». Alcune delle persone che erano entrate a far parte del processo hanno già gettato la spugna, come Rich Bagner e William Palatucci, due collaboratori di Christie, e soprattutto Mike Rogers, un ex deputato del Michigan in carica fino ad ora per il delicato settore della Sicurezza Nazionale. L'altra defezione di peso è quella di Ben Carson, il neurochirurgo ex contendente delle primarie il cui nome era stato fatto per il ministero della Salute, scoraggiato dalla complessità della trattativa.


Nel tentativo di riprendere le redini e firmare al più presto i termini del codice etico, Trump si è incontrato ieri mattina nella sua residenza newyorkese, difesa come un bunker in stato di guerra, con il suo vice Mike Pence. I due devono cercare di distendere le tensioni che si sono create nel partito con l'apparizione dei nomi dei candidati. Una tensione che ieri è stata sottolineata alla Camera con la conferma di Paul Ryan, certamente non un alleato di Trump, nella posizione di speaker. In testa alle polemiche la chiamata dell'estremista Steve Bannon al fianco di Trump come capo stratega.

IL FAVORITO

A livello operativo poi c'è la contesa poltrona di segretario degli Esteri, per la quale starebbero sgomitando ben cinque candidati. Il favorito è l'ex sindaco di New York Rudy Giuliani, il quale ha reclamato l'incarico con un intervista al Wall Street Journal. Contro questa ipotesi c'è una forte opposizione dei democratici, preoccupati dalla scarsa attitudine per la diplomazia mostrata dal fautore della Tolleranza zero. Giuliani dopo la scadenza della carica è stato inoltre con la sua Giuliani & Partners un consulente di Homeland Security per centinaia di municipalità in tutto il mondo, e gli affari che ha intessuto potrebbero interferire con l'eventuale carica. Non meno controversa è la posizione di John Bolton, falco della fazione interventista nell'amministrazione Bush, e uno degli artefici della guerra contro l'Iraq. Completano i ranghi l'immarcescibile Newt Gingrich, il senatore Bob Corker che dirige la commissione esteri della Camera, e Richard Haass, direttore del think tank Cuncil on Foreign Relations. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero