Trattati, il patto Roma-Parigi-Berlino: un nuovo welfare anti populismi

Trattati, il patto Roma-Parigi-Berlino: un nuovo welfare anti populismi
Poca retorica. Obiettivi concreti. Soprattutto la consapevolezza che al rilancio dell'Unione non ci sono alternative se non tante Brexit. Si riparte da Ventisette, senza il...

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Poca retorica. Obiettivi concreti. Soprattutto la consapevolezza che al rilancio dell'Unione non ci sono alternative se non tante Brexit. Si riparte da Ventisette, senza il Regno Unito, ma in realtà si ricomincerà da tre e solo se e dopo che le elezioni in Francia, Germania e Italia avranno certificato - come accaduto in Olanda - la sconfitta dei partiti populisti ed euroscettici.


TONI
Tutti con il fiato sospeso nell'attesa di veder fermata la corsa della Le Pen all'Eliseo. Di capire se a settembre la Merkel dovrà cedere il passo a Schultz per colpa di una possibile erosione a destra in favore di Alternative fur Deutscheland. Di vedere se il Pd di Gentiloni e Renzi riuscirà a contenere il M5S che ha promesso un referendum sull'euro mentre, assieme alla Lega, flirta con la Russia di Putin. Nella Dichiarazione di Roma, firmata ieri in Campidoglio dai Ventisette, non ci sono le tracce della nuova Europa, ma c'è molto di più di quanto non venne scritto dieci anni fa a Berlino. Soprattutto si prova ad entrare nel concreto senza più i toni enfatici del documento del 2007.

La parola cittadini risuona più volte nel documento finale, come la parola unità declinata sui temi sociali cari al greco Alexis Tsipras. Si riparte su temi reali alla ricerca di argomenti che siano in grado di creare un nuovo feeling con le opinioni pubbliche sempre più preda di slogan euroscettici. Sugli intenti ha promesso di vigilare il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani e le più velocità sono aperte. Si spinge sui temi legati all'integrazione sociale e fiscale, sulle politiche di sicurezza e difesa, sull'immigrazione e il diritto d'asilo. E che non si tratti di dichiarazioni generiche è dimostrato dalla faticosa trattativa compiuta con greci e polacchi sulla stesura del documento. Con questi ultimi che riescono a sfumare il tema delle differenti velocità, ma sono costretti a sottoscrivere, insieme con l'Ungheria, impegni sullo Stato di diritto.

BARATTO
Il lungo paragrafo dedicato dalla Dichiarazione agli aspetti sociali dell'Unione segna l'attuale «fase costituente» dell'Europa, come l'ha definita il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e restituisce il ruolo di spinta ai Paesi fondatori che sessant'anni fa si ritrovarono nella sala capitolina. Un compito divenuto indifferibile per Germania, Francia e Italia dopo lo shock della Brexit, l'arrivo di Trump alla Casa Bianca e la palese sponsorizzazione che Mosca dà a tutti i partiti euroscettici. Ma se la difesa comune è l'argomento più facile da affrontare a tre o sei, specie dopo l'uscita del Regno Unito, Merkel, Holland e Gentiloni sono consapevoli che la ripresa di fiducia dell'Europa da parte dei cittadini si gioca sui temi legati alla crescita e alla disoccupazione. Temi che l'Italia, ora di Gentiloni e prima di Renzi, ha fortemente sostenuto ma che il governo ha spesso dovuto barattare con qualche indulgenza sull'alta mole di debito pubblico.


L'attuazione degli obiettivi della Dichiarazione firmata ieri in Campidoglio è fissata in dieci anni, ma per cominciare la discussione occorrerà attendere che si consumino gli appuntamenti elettorali prima in Francia, poi in Germania e, dopo, in Italia. Nell'attesa si punta a ricordare cosa era il Vecchio continente prima dell'Europa. Donald Tusk lo ha fatto ieri mattina ricordando ai polacchi che l'Europa a due velocità era quella che vedeva tutto l'Est dietro la Cortina di ferro. Un monito ad andare avanti insieme nella consapevolezza che nel mondo globale per tenere testa economicamente a Cina, Stati Uniti e Russia, la dimensione europea è la minima possibile.

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Il Messaggero