Partite comprate e vendute per poche manciate di euro. Risultati combinati in anticipo. Un dirigente di club che si diverte ad «approvare ed esaltare» comportamenti...
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Un tribunale "sportivo" perché la Federazione scacchistica italiana (Fsi) è associata al Coni. Riesce difficile pensare che in una disciplina tradizionalmente associata all'abilità intellettuale, dove si vince alla luce del sole manovrando dei pezzi sulla scacchiera, si possano violare - come dice la sentenza - i «principi della lealtà e della correttezza». Eppure, nella sua severissima memoria conclusiva, il procuratore federale (l'equivalente di un pubblico ministero) aveva scritto che il «malcostume occasionale» del passato «negli ultimi anni è purtroppo diventato in Italia una prassi illecita diffusa e costante».
Il movente? Solo in piccola parte si tratta di soldi. Negli scacchi, sport povero per eccellenza, non ne girano molti. È soprattutto una questione di carriera. Più partite si vincono e più si sale in alto nelle graduatorie; e magari si viene promossi di categoria (candidato maestro, maestro, maestro internazionale, grande maestro) compiendo balzi che fanno prestigio e curriculum. Tutto nasce da un torneo che si è svolto a Montebelluna ai primi dell'anno.
Certi risultati erano stati accolti dalla comunità scacchistica da pettegolezzi, sorrisi maliziosi, dicerie, polemiche e proteste. Alcuni fra i migliori giocatori italiani - tra cui i componenti della nazionale - erano arrivati a firmare una indignata lettera aperta proclamando che «lo scacchismo italiano ha urgente bisogno di rinnovarsi sotto l'etica sportiva». Un pò come se Buffon e compagni, per fare un parallelo con il calcio, fossero intervenuti per dire «basta con il doping e i pareggi combinati».
Una bomba.
Il Messaggero