Napoli, Tiziana Cantone suicida per video hot: sei archiviati per diffamazione. Il giudice: «Indagare su Facebook»

Tiziana Cantone, Gip alla Procura: indagare su rappresentante Facebook Italia
Il Gip di Napoli Tommaso Perrella ha disposto l'archiviazione per le sei persone indagate per diffamazione nell'ambito del procedimento avviato a fine 2015 da Tiziana...

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Il Gip di Napoli Tommaso Perrella ha disposto l'archiviazione per le sei persone indagate per diffamazione nell'ambito del procedimento avviato a fine 2015 da Tiziana Cantone, la 31enne di Mugnano di Napoli suicidatasi nel settembre scorso dopo la diffusione on-line di video hot che la ritraevano. Il magistrato ha però disposto un supplemento di indagine chiedendo alla Procura di verificare eventuali responsabilità del legale rappresentante di Facebook Italia. «Non cerchiamo un capro espiatorio - dice Giuseppe Marazzita, legale di Teresa Giglio, madre della Cantone - ma di certo la diffamazione ai danni di Tiziana c'è stata, ed è una delle cause del suo gesto».

Nel novembre scorso era stata la Procura di Napoli, rappresentata in quel frangente dal sostituto Alessandro Milita (ora Procuratore Aggiunto a Santa Maria Capua Vetere) affiancato dall'Aggiunto Fausto Zuccarelli, a presentare istanza di archiviazione al Gip per i cinque ragazzi cui Tiziana aveva inviato i suoi video hot; tra gli indagati c'era anche il padre di uno di loro cui intestata l'utenza telefonica alla quale erano arrivate le immagini.

Il Gip però decise di non pronunciarsi e di fissare un'udienza, celebratasi il 7 aprile scorso, in cui sentire tutte le parti in causa; la Procura, rappresentata dal sostituto Valeria Fico, ha depositato atti di indagine provenienti dalla Procura di Napoli Nord, dove è aperto sulla vicenda di Tiziana un altro fascicolo, senza indagati, per istigazione al suicidio, mentre Marazzita, che solo qualche mese fa ha preso il posto dell'avvocato Andrea Imperato come legale della madre di Tiziana, ha sollecitato il Gip perché respingesse l'archiviazione e ordinasse alla Procura di proseguire le indagini.

«Sono molto amareggiata per l'archiviazione disposta dal Gip a carico dei cinque ragazzi cui mia figlia aveva inviato i video da lei girati - dice amareggiata Teresa Giglio, madre di Tiziana Cantone - Se mia figlia è morta la colpa è dei magistrati che non hanno fatto il loro dovere, in particolare del pm Alessandro Milita che per primo ha indagato».

«Davanti al giudice - spiega Marazzita - ho sostenuto la necessità di accertare eventuali responsabilità di Facebook, anche perché il calvario di Tiziana è iniziato proprio quando ha visto il suo nome sul social associato ai suoi video pubblicati su siti porno soprattutto americani. Se quei video fossero stati immessi solo su questi siti, senza alcun collegamento con una piattaforma così diffusa come Facebook, probabilmente lei non ne avrebbe saputo nulla. E in ogni caso Facebook fu diffidato ma non fece nulla».

Tiziana aveva querelato i cinque ragazzi proprio dopo aver costatato che i video da lei girati erano finiti su siti porno cui era possibile accedere tramite social come Facebook. La Procura partenopea non ha però trovato elementi che dimostrassero la responsabilità degli indagati per la diffusione dei video sul web e nel frattempo ha aperto un altro fascicolo per calunnia a carico dell'ex fidanzato di Tiziana, Sergio Di Palo, ipotizzando che fosse stato lui a convincere la ragazza a querelare i cinque e a indicarli come i responsabili della diffusione on-line dei video incriminati.


La vicenda della Cantone ha già coinvolto direttamente Facebook; nel novembre scorso il Tribunale Civile di Aversa aveva infatti bacchettato la multinazionale americana proprio perché non aveva rimosso le pagine che rinviavano ai video della Cantone dopo la diffida presentata da quest'ultima; per i giudici la diffida era vincolante, mentre la società si era difesa spiegando di non aver rimosso le pagine perché non aveva ricevuto alcun ordine del giudice o del Garante per la privacy, ritenendo dunque che la diffida di Tiziana non avesse alcun valore giuridico.
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Il Messaggero