Stupro di gruppo a Marechiaro, il racconto choc della 15enne: «Ridevano mentre mi aggredivano»

Stupro di gruppo a Marechiaro, il racconto choc della 15enne: «Ridevano mentre mi aggredivano»
C’erano e hanno svolto un ruolo. Per loro non è stata chiesta alcuna misura cautelare, ma le loro sagome si sono materializzate nella ricostruzione fatta da almeno...

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C’erano e hanno svolto un ruolo. Per loro non è stata chiesta alcuna misura cautelare, ma le loro sagome si sono materializzate nella ricostruzione fatta da almeno due testimoni. Sono minorenni, quanto basta ad usare le cautele di rito, ed erano parte del branco che ha agito con invadenza contro due fidanzatini, costringendo l’uno ad abbandonare la propria amica in balìa del gruppo. Hanno un cognome pesante, di quelli che incutono paura, discendenti diretti di clan camorristici storicamente radicati in zona Vasto-Arenaccia. Erano presenti nella zona del «castello» o delle «fenestrelle», in una delle cave dell’area chiamata «scoglione» di Marechiaro.


Hanno cinturato la vittima, hanno assistito inermi alla sequenza di violenze, per poi allontanare con poche parole una ragazza, preoccupata per la prolungata assenza dell’amica 15enne. Ed è la stessa vittima a scagionare gli altri due minori del gruppo, che poi vengono tirati in ballo da almeno altri due testimoni. Spiega la 15enne: «Non hanno fatto niente, erano lì, si sono limitati a guardare».

 
Ed è comunque un dato acquisito. C’erano anche loro - il fatto è certo - erano presenti dal primo all’ultimo momento in quella cava priva di uscita, divertiti e interessati a vedere come andava a finire. Ed erano stati comunque presenti quando la loro invadenza ha rotto un flirt «sano» (per usare l’espressione del gip) tra due fidanzatini nei primi giorni di estate. Mesi di indagine, testimonianze raccolte al cospetto di assistenti sociali e investigatori, sono pochi gli esempi di solidarietà nei confronti della ragazzina finita al centro delle morbosità di cinque aggressori. E non è un caso che è proprio la ragazza a fare il nome dei due discendenti di famiglie conosciute agli archivi di polizia giudiziaria.

È una testimonianza decisiva, la sua, dal momento che rafforza dinanzi ai carabinieri il racconto reso dalla parte offesa. È ancora una delle amiche del gruppo di presunti stupratori ad aiutare gli investigatori e riconoscere le foto dei componenti del branco, attraverso facebook. Anche in questo caso, c’è sempre la stessa espressione, a proposito dei due soggetti rimasti a piede libero: «Erano rimasti a guardare», ha insistito la supertestimone. C’è spazio per altre dichiarazioni, per altre versioni che concordano su un punto. La presenza di quei due dal cognome pesante, che hanno fatto da sentinelle inermi alla girandola di molestie riservate alla ragazzina di 15 anni. E non è tutto.


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Il Messaggero