Chi ha piazzato l’ordigno a Manhattan voleva uccidere il maggior numero possibile di persone. Questo è fuori discussione, ma manca una rivendicazione. In queste...
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Un’altra ipotesi è che l’ordigno sia stato piazzato da un simpatizzante dell’Isis, privo di contatti con l’organizzazione. Lo Stato Islamico non sa e non può rivendicare. È già accaduto con l’attentato contro la maratona di Boston del 15 aprile 2013. La polizia impiegò tre giorni per identificare i due fratelli Tsarnaev e dichiarare che si era trattato di un attentato terroristico di matrice islamica. I due attentatori avevano operato in totale solitudine, ricavando le istruzioni per costruire l’ordigno da una rivista online di al Qaeda. Scoprimmo, poi, che Al Qaeda non sapeva e, per questo, non rivendicava. All’epoca dei fatti di Boston, tutti si ponevano la domanda che prevale in queste ore: «Se la maratona è stata colpita da un militante di al Qaeda, perché al Qaeda non rivendica?». È possibile che, tra qualche giorno, la polizia americana individui due nuovi fratelli Tsarnaev e il mistero sarà svelato.
Quanto all’ipotesi “non Isis”, l’ordigno potrebbe essere stato piazzato da un uomo privo di motivazioni politiche. Accadde a Brindisi, il 19 maggio 2012, quando Melissa Bassi fu uccisa da una bomba artigianale piazzata davanti alla sua scuola. Il responsabile era un uomo di 71 anni che voleva sfogare la sua rabbia per una sentenza della magistratura contraria alle sue attese.
Se l’ipotesi “Isis” è corretta, piangiamo tutti i feriti di Manhattan, ma le notizie sono buone sotto il profilo della sicurezza delle città americane. L’Isis odia gli Stati Uniti più di qualunque altro paese al mondo, ma non è mai riuscito a pianificare un attentato sul suo territorio. Ha rivendicato alcune stragi, realizzate da alcuni simpatizzanti, ma non penetra nella società americana. I musulmani di New York hanno prima respinto il messaggio di al Qaeda e adesso respingono quello dell’Isis. È semplice: niente consensi, niente militanti, niente attentati.
La mancata penetrazione di al Qaeda e dell’Isis nel tessuto americano consente di cogliere un punto di gigantesca importanza nella lotta culturale contro l’estremismo jihadista. A differenza di quanto sostengono i “nemici della società aperta”, le società liberali non sono travolte da quella crisi di valori che alcuni descrivono. È un tipo di società che potrebbe, agevolmente, correggere numerose ingiustizie sociali e che, magari, potrebbe imparare ad amare la pace più della guerra. Ma è anche una società che produce più consensi che dissensi, tra gli uomini di tutte le confessioni religiose, perché è la società più libera che sia mai esistita nella storia millenaria dell’uomo, oltre a essere quella che ha diffuso il livello maggiore di benessere in tutti gli strati della popolazione. I processi di radicalizzazione verso il terrorismo islamico esistono, ma non sono - nemmeno lontanamente - in grado di sfidare i valori portanti delle società liberali.
Ciò accade non per merito dei cittadini occidentali, ma perché la quasi totalità degli immigrati musulmani non vorrebbe mai vivere sotto le leggi dello Stato Islamico. I migranti che provengono dall’Africa, dalla Siria, dall’Iraq e dal Pakistan, non gridano: «Forza Isis!». Gridano: «Forza Occidente!». Non vengono qui per abbattere la nostra società. Quanta fatica sprecata! Rimarrebbero a casa loro oppure si dirigerebbero verso Raqqa.
Ecco perché l’ipotesi “Isis”, che preoccupa Manhattan, deve generare preoccupazione, ma non terrore. Se, dopo due anni di minacce mortali, tutto ciò che l’Isis è in grado di realizzare contro New York è una pentola con dei bulloni, l’Isis colpisce, ma non scalfisce.
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Il Messaggero