Salvatore Vacca, caporalmaggiore dell'Esercito, morì per leucemia l'8 settembre 1999 in una stanza dell'ospedale oncologico di Cagliari: aveva 23 anni ed...
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Secondo Domenico Leggiero, dell'Osservatorio Militare, dalle motivazioni di questa «sentenza storica» emergono «gravi inadempienze e la certezza assoluta del rapporto diretto di causa effetto tra l'esposizione all'uranio impoverito e le neoplasie che hanno portato alla morte 333 ragazzi ed oltre 3.600 malati». La mamma del giovane militare, Giuseppina Secci, è soddisfatta: «È una sentenza giusta, abbiamo aspettato tutti questi anni, è passato tanto tempo ma oggi finalmente è venuto fuori che avevamo ragione. Abbiamo combattuto questa battaglia durata 17 anni anche per tutti gli altri, in modo che non vengano dimenticati». «Questa battaglia la dobbiamo a lui - sottolinea la 'madre coraggiò - è quasi un segno, domenica avrebbe festeggiato 40 anni». Vacca - scrivono i giudici, secondo quanto reso noto dall'Osservatorio - è stato esposto agli effetti dell'uranio impoverito senza «alcuna adeguata informazione sulla pericolosità e sulle precauzioni da adottare». La sentenza parla di «condotta omissiva di natura colposa dell'Amministrazione della Difesa», ma anche di «comportamento colposo dell'autorità militare per non avere pianificato e valutato bene gli elementi di rischio». E poi di «compatibilità tra il caso e i riferimenti provenienti dalla letteratura scientifica» e di «esistenza di collegamento causale tra zona operativa ed insorgenza della malattia». Il caporalmaggiore di Nuxis (Carbonia-Iglesias) è stato impiegato per 150 giorni in Bosnia come pilota di mezzi cingolati e blindati. Nella sua attività Vacca ha trasportato munizioni sequestrate, materiale che, scrivono i magistrati, si sarebbe dovuto considerare «come ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche sprigionate dall'esplosione dei proiettili» e i rischi «si devono reputare come totalmente non valutati e non ottemperati dal comando militare».
Questa condotta omissiva, secondo i giudici, «configura una violazione di natura colposa delle prescrizioni imposte non solo dalle legge e dai regolamenti, ma anche dalle regole di comune prudenza».
Il Messaggero