Smacco all’Spd/La lezione tedesca sulla sinistra d’antan

Smacco all’Spd/La lezione tedesca sulla sinistra d’antan
Nessuno si era mai interessato all’elezione del Parlamento della Saar, piccolo Land tedesco, neanche un milione di abitanti. Eppure questo lembo di terra racchiude...

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Nessuno si era mai interessato all’elezione del Parlamento della Saar, piccolo Land tedesco, neanche un milione di abitanti. Eppure questo lembo di terra racchiude simbolicamente il destino dell’Europa: per secoli conteso tra francesi e tedeschi, Hitler se lo riprese nel 1935 dando il via all’escalation che quattro anni dopo avrebbe portato alla guerra mondiale.


E, dopo la disfatta, solo nel 1956 la Saar è ritornata tedesca. Ieri invece tutti attendevano dal suo voto un’indicazione su dove vada la Germania, cioè, in qualche misura, l’Europa. 
La prima domanda era questa: la “novità” Schulz, la rimonta della Spd, la possibilità che la Merkel quest’autunno esca di scena è reale o è una bolla, l’ennesimo trompe-l’oeil dei sondaggi?

A questa domanda gli elettori della Saar hanno risposto smentendo chi aveva già (politicamente) sotterrato Merkel. Il partito della Cancelliera, che guidava con la sua candidata la regione, vince nettamente le elezioni, schizza al 40% e l’effetto Schulz, come scriveva ieri Die Welt, «va in fumo». Ma va in fumo, almeno per il momento, anche l’ipotesi di uno spostamento a sinistra dei tedeschi. La Saar è una regione storicamente moderata, ma per un ventennio, alla fine del secolo scorso, governata da Oskar Lafontaine, al tempo socialdemocratico e ora a capo della sinistra radicale. Il Land è un suo feudo: ma anche qui il suo partito è calato, e non di poco. 


L’altra domanda nazionale e internazionale fatta planare sui sorpresi elettori della Saar riguardava il destino dei populisti: è finita l’onda nera? Sembrerebbe di no, la destra nazionalista dell’Afd riesce a superare la fatidica quota del 5% che le consente di entrare nel parlamento regionale, precluso invece ai Verdi e ai Liberali.
Non proprio una disfatta, insomma. Anche se Schulz nelle ultime ore, forse interpretando i segnali, aveva derubricato l’elezione a caso locale, e se non sarebbe serio proiettare su scala nazionale un campione quantitativamente così ridotto, alcuni segnali si possono cogliere. Il primo è che il vuoto strategico del riformismo non si colma ritornando alla sinistra d’antan. 


La candidata Spd aveva lanciato più di un segnale di approvazione verso le ricette di Lafontaine, fondate su aumento delle tasse, patrimoniale, distribuzione allegra di «reddito di dignità»: in una regione sì piccola, ma uno dei poli dell’industria automobilistica tedesca, con una folta concentrazione di imprese. Il secondo segnale: benché la Merkel sia stata discreta in campagna elettorale, resta lei quella in cui una larga parte dei tedeschi continua a riconoscersi: contro i populismi certo, ma anche contro l’avventurismo tax and spending. 
Al contrario esce sconfitto Schulz, che si era invece fatto molto vedere, e che aveva portato sul palco del suo plebiscito a leader della Spd la candidata della Saar: un’interruzione nella gran cavalcata - per il momento solo mediatica - i cui effetti saranno tutti da studiare. Il terzo segnale è che non sembra invertita la crisi storica (e forse terminale) della socialdemocrazia europea: la Spd ne resta il partito più forte, ma anch’esso decisamente in declino. Dopo di che, la Germania è sempre la Germania: probabilmente nella Saar si tornerà di nuovo alla grande coalizione, e le due contendenti, già fianco a fianco nel governo locale, una Presidente l’altra Ministra dell’Economia, ritroveranno i loro ruoli. 


Non crediamo che questa forma di democrazia, dagli studiosi chiamata «consociativa» sia salutare; ma al momento, sembra il meglio di cui disponiamo. E questa lezione non si limiterà alla Saar, e forse neanche alla Germania.
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Il Messaggero