«Saddam Hussein aveva una stanza delle torture per gli oppositori a New York»

Saddam Hussein e, sullo sfondo, la sede della Missione diplomatica permanente dell'Iraq negli Stati Uniti, ubicata a New York (Chad Rachman; AP)
Dall’esterno, la sede della Missione diplomatica permanente irachena presso le Nazioni Unite sembra solo uno dei tanti eleganti palazzi in zona Central Park. Ma per anni...

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Dall’esterno, la sede della Missione diplomatica permanente irachena presso le Nazioni Unite sembra solo uno dei tanti eleganti palazzi in zona Central Park. Ma per anni questo edificio newyorchese al 14 East della settantanovesima strada, due passi dalla casa dell’allora sindaco Michael Bloomberg, avrebbe custodito tra le sue quattro mura un terribile segreto: una vera e propria camera delle torture voluta da Saddam Hussein in persona.

 
A sganciare la bomba è il New York Post, secondo le cui fonti, all’interno della stanza degli orrori, entrata in attività a partire dal 1979 successivamente alla presa del potere di Hussein, il feroce Mukhabarat (il servizio segreto iracheno trasformato dal crudele dittatore giustiziato nel 2006 in una sorta di spietata polizia privata) avrebbe massacrato, e a volte anche ucciso, tantissimi oppositori del regime, fuggiti in America alla ricerca di quella libertà che non riuscivano a trovare in patria.
 
A sostegno del suo scoop, il quotidiano newyorchese cita due ufficiali militari iracheni, che hanno accettato di parlare rassicurati dall’anonimato. Stando alla loro testimonianza diretta, il  funzionamento dell’atroce macchina del terrore predisposta da Saddam in terra americana seguiva questo preciso rituale: dopo essere stati catturati dagli agenti del Mukhabarat, i nemici del Rais venivano imprigionati nella camera, un locale privo di finestre preceduto da alcune porte d’acciaio rinforzato, per poi essere sottoposti a una serie impressionante di abusi fisici e, infine, in molti casi, dopo in genere quindici giorni di detenzione, assassinati.
 
“Era una stanza buia e non c’era bisogno di isolarla acusticamente”, ha ricordato uno dei due insider. “Era impossibile farsi sentire da lì giù“, ha aggiunto l’altra “gola profonda”, che poi ha rivelato come i cadaveri degli oppositori venissero spediti a Baghdad in pacchi esenti dai controlli della Dogana: “Nessuna autorità li poteva esaminare o aprire. Mukhabarat faceva quello che voleva, durante l’era di Saddam c’erano persone che nessuno avrebbe mai voluto incontrare”.
 

Le prove dei brutali crimini commessi dal famigerato servizio di intelligence iracheno nella cella degli orrori newyorchese, però, sarebbero ormai andate perdute. O, meglio, qualcuno le avrebbe portate via dopo la caduta di Hussein, avvenuta nel 2003 in seguito all’invasione americana dell’Iraq. “Ufficiali del Governo statunitense - ha spiegato una delle fonti al New York Post - fecero irruzione nella Missione. Presero dischi rigidi, computer. Entrarono in diverse stanze, distrussero, rovistarono. Ufficialmente stavano governando l’Iraq mentre noi non avevamo un governo. Prendemmo nuovamente possesso della sede dopo meno di un anno”.
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Il Messaggero