Russiagate, media: «L'Fbi vuole sentire Kushner, genero di Trump»

Russiagate, media: «L'Fbi vuole sentire Kushner, genero di Trump»
L'alto funzionario della Casa Bianca che gli uomini dell' Fbi che indagano sul Russiagate ritengono una «persona di interesse» e che vorrebbero ascoltare...

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L'alto funzionario della Casa Bianca che gli uomini dell' Fbi che indagano sul Russiagate ritengono una «persona di interesse» e che vorrebbero ascoltare potrebbe essere il genero del presidente Jared Kushner. Lo riportano alcuni media americani e britannici, tra cui l'Independent, che rilanciano voci su un coinvolgimento del genero del presidente americano Donald Trump.


Se così fosse è la prima volta che l'inchiesta arriva così vicina al commander in chief. Rivelazioni diffuse letteralmente attimi dopo il decollo dell'Air Force One con a bordo Trump, diretto in Medio Oriente e in Europa per il suo primo viaggio all'estero da presidente, che lo terrà lontano da Washington per nove giorni, ma evidentemente non al riparo da una crisi che secondo alcuni è ormai conclamata. E, osservano in molti, anche in gran parte autoinflitta. Non avrebbe comunque potuto voltare pagina davvero, non con il posto da direttore dell'Fbi lasciato ancora vacante (è slittato infatti l'annuncio atteso prima della partenza del presidente) e non con il procuratore speciale Robert Mueller appena nominato per gestire l'inchiesta sul Russiagate.

Ma Trump sperava di mettere un punto portando l'attenzione con sè nel viaggio in cui, via Twitter prima di partire, ha promesso che lavorerà per gli interessi americani. E invece lo seguono nuove complicazioni che si prospettano esplosive. 


Prende forza la bufera che scuote il presidente. Il Nyt scrive che all'incontro nello Studio Ovale con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e l'ambasciatore russo negli Usa, lo scorso 10 maggio, Trump parlò del licenziamento di James Comey dalla guida dell'Fbi, affermando che ciò alleggeriva «la forte pressione» su di lui. E definendo l'ex direttore del Bureau investigativo un «pazzo, fuori di testa». Il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer non ha negato. Ha reagito però, tentando di spiegare: «Attirando l'attenzione su di sé e politicizzando le indagini sulla Russia, James Comey ha creato una pressione non necessaria sulla nostra capacità di trattare con la Russia», ha detto. «L'indagine sarebbe andata comunque avanti e l'uscita di Comey non mette fine all'inchiesta», ha proseguito, concludendo come «ancora una volta l'unica vera notizia è che la nostra sicurezza nazionale è stata messa a rischio dalla fuga di notizie di conversazioni private e classificate».


È un tentativo di difesa in extremis. Se risulterà convincente è da vedere. Perchè oltre al clamore possibile per il modo in cui Trump ha apostrofato il direttore dell'Fbi licenziato poche ore prima, il passaggio cruciale di quella conversazione è l'apparente ammissione di aver deciso di sollevare Comey dall'incarico proprio in seguito a quella «enorme pressione» relativa alla Russia che menziona. Una tattica diplomatica, insiste chi lo difende, per fare leva e negoziare con Lavrov, per creare presso l'interlocutore un senso di obbligo, di debito quasi, per i problemi che i sospetti sulle intrusioni russe hanno scaricato sulla sua presidenza.
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Il Messaggero