Rosberg, l’eroe romantico ritorna a casa

Rosberg, l’eroe romantico ritorna a casa
Ci sono passioni così totalizzanti che sembrano impossibili da abbandonare, emozioni così forti da non potervi rinunciare. Ti dici che se hai provato una volta a...

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Ci sono passioni così totalizzanti che sembrano impossibili da abbandonare, emozioni così forti da non potervi rinunciare. Ti dici che se hai provato una volta a correre a 300 all’ora in un guscio di carbonio e non sei morto di paura, allora vorrai continuare a sentire il brivido di quella velocità. Ti dici che se sei salito una volta il gradino più alto del podio, allora vorrai provare a salirci ancora, e ancora, e ancora, fino a quando sarà evidente che quella è diventata per te un’impresa vana. Ma poi arriva Nico Rosberg, corre più veloce di tutti, sale sul gradino più alto e, un attimo dopo esserne sceso, dice «basta», dice «è stato bellissimo, ma non ho voglia di ripeterlo». E tutti rimangono stupiti, perché Nico ha solo 31 anni, perché potrebbe continuare a vincere e a guadagnare, ma lui no, lui dice che aveva un obiettivo da raggiungere e lo ha raggiunto, voleva diventare campione del mondo di Formula 1 e lo è diventato, ad Abu Dhabi, il 27 novembre scorso: va bene così, oltre non si va.


Ieri Nico Rosberg, con l’ormai classico post sul suo profilo social, ha annunciato il suo ritiro e tutti i giornali sportivi hanno parlato di “choc”? Ma è davvero così sconvolgente la notizia? A mio parere no, a meno di non voler considerare sconvolgente un ritorno allo spirito autentico dello sport, a quello spirito pionieristico e romantico che animava i primi atleti e, soprattutto, i primi alpinisti: lo spirito dell’impresa. E forse non è un caso che Rosberg, per spiegare le proprie motivazioni abbia scelto proprio una metafora alpinistica: «Ho scalato la montagna – ha detto – sono sulla vetta». L’impresa è compiuta, il resto non conta; non conta la rinuncia ad altri cinque o sei anni di guadagni milionari, la rinuncia alla fama, ai riflettori. Non conta lo sport fatto per mestiere (anche se sicuramente non ha disdegnato gli aspetti economici del suo essere pilota), ma conta lo sport per lo sport, per il traguardo. E contano i 25 anni che stanno alle spalle, da quando, figlio d’arte, correva nella formula kart e nelle formule minori, conta tutto il tempo in cui l’eroe romantico ha preparato la sua grande impresa.

E sicuramente, Nico Rosberg è stato ed è un eroe romantico, perché un eroe romantico non si limita a competere, un eroe romantico ingaggia duelli interminabili: e cosa sono stati gli ultimi anni di Formula 1 se non un lungo duello tra Nico Rosberg e Lewis Hamilton? Anno 2013, mentre nelle sale cinematografiche trionfa Rush, il film di Ron Howard sulla rivalità tra James Hunt e Niki Lauda, sui circuiti di tutto il mondo cresce la rivalità tra i due compagni di squadra del team Mercedes: eccolo il dualismo che trasforma la competizione in mito ed epopea, il dualismo di Coppi e Bartali, di Varzi e Nuvolari, di Borg e McEnroe. E Nico sa che, ora che è entrato nel mito, deve rispettarne le regole, sa che una di queste regole, scritta da Menandro circa 300 anni prima di Cristo, recita «Muore giovane chi è caro agli dei»; e siccome, a correre a 300 all’ora in un guscio di carbonio, il rischio di morire giovane esiste sul serio, preferisce optare per la morte simbolica, per l’uscita di scena all’apice del successo: anche questo è romantico, molto romantico. Ed è romantico, ed epico e mitico il fatto che dopo questa morte simbolica ci sia una rinascita in famiglia, assieme alla moglie e alla piccola Alaïa; tanta, troppa la tensione accumulata negli ultimi mesi, e dopo tanto peregrinare per il mondo, di circuito in circuito, di gara in gara, di pericolo in pericolo, si torna a casa, vincitori. È Ulisse che torna da Penelope e chissà se a Itaca ci resterà o se, come ci racconta la Divina Commedia, sentirà la tentazione di altri viaggi, di altre piste, di altri pericoli.


Nico come Ulisse, forte e saggio. Ulisse che dal padre, Laerte, eredita la passione del viaggio e il gusto della sfida; Nico che dal padre, Keke, campione di Formula 1 nel 1982, eredita il coraggio della velocità. Ulisse che istruisce il figlio, Telemaco, perché un giorno prenda il suo posto, quel posto che prima era stato di Laerte; Nico che… E qui il paragone si ferma, perché la primogenita di Rosberg è una femmina e alle ragazze, al di là delle dichiarazioni d’intenti, il mondo del grande automobilismo è ancora precluso: sarà forse Alaïa Rosberg la prima eroina romantica della Formula 1? Sarebbe bello, ma non lo sappiamo. Ciò che sappiamo è che gli eroi romantici dello sport ci servono, ci serve parlarne, discuterne; gli eroi ci servono per misurare quanta distanza c’è tra loro, che mollano tutto quando sono sulla cresta dell’onda e hanno il portafoglio ben gonfio, e noi, che dopo quarant’anni di lavoro e di tanta, troppa tensione accumulata ogni giorno nelle nostre automobili incolonnate per andare in fabbrica o in ufficio, molleremmo tutto volentieri, anche senza averla mai vista la cresta dell’onda, e invece andiamo avanti, a tirare la carretta.

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Il Messaggero