Quando due anni fa si conobbe il destino delle 276 ragazze nigeriane rapite dai terroristi di Boko Haram, il mondo inorridì e dalla - Casa Bianca a Downing Street - fu...
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Il Times ricorda polemicamente come David Cameron insorse a suo tempo contro quel ratto collettivo di giovani sventurate, condannando «un'azione di pura malvagità». E come Michelle Obama promise, a nome anche del marito, di fare «tutto il possibile» per liberare le ragazze. Invece la realtà è che ad oggi le vittime sono ancora in gran numero nelle mani degli aguzzini: alcune violentate, altre costrette a sposare i jihadisti dopo essere state convertire a forza dal cristianesimo all'islam, non poche incinte, come il giornale afferma di aver avuto modo di vedere in recenti nuovi video dell'orrore. E dire che già «un paio di mesi dopo la denuncia del sequestro, l'occhio dello spionaggio americano individuò dal cielo il luogo in cui erano detenute 80 ragazze nella foresta di Sambisa», racconta Pocock, secondo il quale un'incursione fu però ritenuta troppo rischiosa.
Washington, dopo aver condiviso l'informazione con Londra, si limitò così a trasmetterla alle autorità nigeriane. Che non si mossero. «Si sarebbero potute salvare alcune ragazze, ma altre sarebbero state uccise», commenta l'ex alto commissario, ammettendo di aver espresso anche lui timori su un blitz nella consapevolezza che gli ostaggi «erano scudi umani». Gli resta tuttavia la domanda se non si sarebbe potuto fare almeno qualcosa in più. Mentre Stephen Davis, già canonico della cattedrale anglicana di Coventry reduce da mesi trascorsi in Africa a cercare di negoziare il rilascio delle ragazze, non ha dubbi: non aver neppure tentato un soccorso in quelle condizioni - sentenzia - è stato «irresponsabile e disgustoso». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero