Vecchi errori/La rincorsa giustizialista punisce la politica

Vecchi errori/La rincorsa giustizialista punisce la politica
Talvolta il destino, diceva un filosofo, realizza disegni buoni servendosi di strumenti cattivi. La caduta - di fatto la destituzione - del professor Ignazio Marino dalla carica...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Talvolta il destino, diceva un filosofo, realizza disegni buoni servendosi di strumenti cattivi. La caduta - di fatto la destituzione - del professor Ignazio Marino dalla carica di sindaco di Roma, sarà anche stata una soluzione propizia, viste le difficoltà e il degrado in cui versava la Capitale ma avrebbe dovuto essere dettata da ragioni - e ce n’erano tante - squisitamente politiche. Nondimeno è stata conseguita attraverso il mezzo improprio di un’indagine giudiziaria.

Improprio, come ripetiamo da tempo, per vari motivi: perché confligge con la presunzione di innocenza; perché trasferisce il potere di controllo politico dall’elettorato alla magistratura; e infine perché, a ben vedere, costringe anche quest’ultima ad assumersi responsabilità di cui farebbe volentieri a meno. L’iscrizione nel registro degli indagati e la conseguente informazione di garanzia sono, infatti, atti dovuti, e conseguono anche a una semplice denuncia; cosicché il destino di un sindaco, e magari di un ministro e di un governo, possono dipendere, prima ancora che dall’iniziativa di un Pubblico ministero, da quella di qualche solerte cittadino. Non è solo pericoloso. È dannatamente stupido. 
Ora il professor Marino, assolto con clamore, lamenta l’assurdità di questo sistema. Il fatto che i partiti suoi sostenitori non abbiano mai brillato per garantismo, nulla toglie all’evidente stortura di una estromissione fondata sul motivo spurio di un processo penale, checché ne dicano oggi i protagonisti di ieri. Tuttavia, temiamo che la lezione servirà a poco.


Nell’attuale debolezza della politica la tentazione di far fuori l’avversario invocando la verginità dei carichi pendenti è ancora forte, e radicata.
È vero che qualcosa sta cambiando: ma sta cambiando in modo ambiguo, e in un contesto assai dissimile. Alludiamo alla vicenda dell’assessore all’Ambiente del Comune di Roma, Paola Muraro, per la quale, a differenza delle altre, la presunzione di innocenza sembra funzionare. Eppure la sua situazione processuale e politica non è paragonabile a quella dell’ex sindaco, e per varie ragioni. La prima, che la Muraro non ha avuto un mandato elettorale, e quindi non deve rispondere a che l’ha votata ma a chi l’ha nominata; la seconda, che Marino è stato processato da privato cittadino, mentre lei è ancora in carica, e quindi teoricamente a rischio di reiterazione del reato; la terza, e la più significativa, che il movimento pentastellato ha fatto dell’«onestà» una sorta di feticcio rituale. 

Intendiamoci: Muraro può essere la persona più onesta del mondo, e tra qualche tempo forse festeggerà anche lei un’assoluzione, o addirittura un’archiviazione. Ma il punto non è questo. Il punto è che dopo anni di martellamento maniacale sull’incompatibilità tra cariche pubbliche e pendenze penali, il garantismo tardivo che ora la protegge non è soltanto sospetto, ma anche rischioso. I grillini saranno tante cose, ma non acritici trinariciuti, disposti a ingoiare un contrordine così bruciante. Staremo a vedere. Per ora, da garantisti antichi e sinceri, siamo lieti di questa inversione, quantunque circoscritta a una dei loro, e un po’ contestata. Anche se questo atteggiamento ci ricorda quanto disse il gesuita al liberale, che gli rimproverava la contraddizione di chiedere una libertà che loro, quando erano al potere, negavano agli altri: «Appunto – rispose il gesuita - la libertà la chiedo in nome dei vostri principi, ma la nego in nome dei miei!».
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero