Rigopiano, gli angeli della neve e l’urlo: «Qui sotto c’è qualcuno vivo»

Rigopiano, gli angeli della neve e l’urlo: «Qui sotto c’è qualcuno vivo»
«Dai Chicco», immerso nel gelo della speranza il primo miracolo ha il sole di un sorriso, la tuta verde e le braccia dei vigili del fuoco, l’abilità del...

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«Dai Chicco», immerso nel gelo della speranza il primo miracolo ha il sole di un sorriso, la tuta verde e le braccia dei vigili del fuoco, l’abilità del soccorso alpino e la forza di un grido liberatorio: «Bravo». Lacrime e applausi sotto la montagna maledetta sopra a quel che rimane dell’hotel Rigopiano, dieci chilometri da Farindola, quaranta da Pescara, passato dalla morte alla vita in quaranta ore, come Lazzaro tra i ghiacci. Il primo miracolo è la testolina di capelli scuri di Gianfilippo Parete, figlio del cuoco ospite della struttura scampato per caso alla furia della bomba di ghiaccio innescata dalle nevicate e dalle scosse. E se il primo prodigio è un ragazzino di otto anni dall’aria smarrita e l’animo in subbuglio, le mani forti di uno dei suoi angeli sono di Antonio, vigile del fuoco abruzzese. «Niente cognome, per favore. Abbiamo lavorato in tanti non è giusto prendersi il merito di un gruppo di lavoro».


Antonio, quali sono state le prime avvisaglie che sotto le macerie c’era vita?
«I cani antivalanga avevano segnalato qualcosa, ma non si capiva bene dove fosse con esattezza, poi abbiamo fatto i primi buchi nella struttura».

Dove?
«Su uno dei solai diventato tetto. Ma non era facile: il ghiaccio di una valanga è compresso e duro come cemento. Quindi abbiamo dovuto bucare sia il ghiaccio e sia il cemento».

Dai buchi che avete fatto nel solaio cosa è venuto fuori?
«Prima un odore forte, come di ambiente chiuso, ma è uscito anche del fumo. Poi le voci, persone che chiedevano aiuto perché probabilmente avevano sentito i rumori della nostra fresa. E quando abbiamo sentito le voci l’emozione è stata forte».

Quindi?
«A quel punto abbiamo allargato il foro, ma dovevamo farlo con grande attenzione perché non sapevamo come si comportava la struttura. Per fortuna è andato tutto bene».

Dove erano le persone?
«In una sorta di cucina, un’intercapedine in cui si è fermata l’aria e quindi anche il calore».

E quando è uscito il piccolo Gianfilippo l’emozione ha coinvolto tutta l’Italia grazie anche al vostro filmato. E voi?
«Beh, immaginate da soli. Per noi è lavoro, sono interventi che facciamo con profondo senso del dovere, ma ritrovare la vita è un’emozione unica. Un bambino poi».

Come avete trovato i bambini salvati?
«In buone condizioni, scossi, ma niente principio d’assideramento».

E adesso?

«Scaviamo e speriamo ancora. Non possiamo fermarci, diverse squadre si alternano in questo lavoro. A questo punto la nostra forza è la perseveranza». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero